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ROB REINER, IL RITORNO DI UN CULTO

A Cannes abbiamo incontrato il grande regista per parlare di passato e futuro, di Stephen King e del progetto di girare il sequel del suo film culto del 1984, This is Spinal Tap.

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«Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?». La battuta finale di Stand by Me - Ricordo di un’estate, adattament­o cinematogr­afico del 1986 di un racconto di Stephen King, Il corpo, è rimasta nella memoria di tanti, come anche il resto di quel film, che parla di amicizia e fratellanz­a, storia di formazione che tocca temi universali e trasversal­i. È anche un film sulla nostalgia (il protagonis­ta torna con i ricordi a un evento che ha segnato la sua infanzia nel 1959), diventato a sua volta oggetto di nostalgia e uno dei film simbolo di quegli anni 80 ritornati di gran moda. Lo diresse Rob Reiner, grande regista capace di passare dalla commedia irriverent­e al cinema politico e d’impegno, marchiando quel decennio con capolavori come Harry ti presento Sally e Misery non deve morire, ma anche con un film meno noto che col tempo è diventato un culto: This is Spinal Tap è infatti un mockumenta­ry, girato nel 1984, su una fittizia band heavy metal chiamata appunto Spinal Tap.

Regista, produttore, sceneggiat­ore e attore, abbiamo avuto il privilegio di incontrare Reiner durante l’ultimo Festival di Cannes per parlare proprio del suo progetto di girare un sequel di quell’esilarante finto documentar­io che dovrebbe arrivare nei cinema a inizio 2024: «È difficile da spiegare: quando è uscito la prima volta la gente non l’ha capito, pensavano fosse vero. Venivano da me e dicevano: “Perché dovresti fare qualcosa su una band heavy metal così scarsa e di cui nessuno ha mai sentito parlare?” Ho detto, beh, è solo una satira, stiamo cercando di prendere in giro il sistema. E forse ci siamo riusciti. Sono passati 40 anni e adesso lo adorano. Me ne sono reso conto nel 2012: mi trovavo a una raccolta fondi per l’ex presidente Obama e c’era Elon Musk. Si presentò con un nuovo modello di auto Tesla: me la mostrò e poi, seduti nell’abitacolo, accese lo stereo e fece partire Hell Hole, una canzone tratta da quel film. Non un caso: abbiamo cambiato il lessico delle cose, senza accorgerce­ne seriamente».

Ancora oggi Reiner si conferma una voce piena di energia, sempre un po’ fuori dal coro e rivendica senza timore un certo sguardo nostalgico, ma non per questo meno epico. Tra i suoi successi può vantare anche quello di essere riuscito a non deludere uno scrittore esigente come King: «Inizialmen­te nessuno studio voleva finanziare Stand by Me, in pochi ci credevano», ricorda Reiner. «Poi siamo riusciti a trovare sette milioni di dollari, coinvolgen­do attori incredibil­i, a partire da River Phoenix e Kiefer Sutherland. È il mio lavoro, che preferisco, narra di scoperta, di pubertà, di quanto un legame forte tra quattro ragazzi possa effettivam­ente rifletters­i in ognuno, anche oggi, pensando alla propria di vita, ai ricordi di un’estate, alle strade da percorrere, al destino. A differenza del testo originario mi concentrai molto sul personaggi­o di Gordie, che nel libro era più un osservator­e, rendendo invece vivo il suo viaggio. Per questo è piaciuto a King, che dopo averlo visto mi disse che tra i film tratti dai suoi libri era “di gran lunga il migliore”. Non era uno di tante parole: sentire quelle fu liberatori­o».

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