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CHI NON MUORE SI RIVEDE...

...e la plastica non muore. Lo provano gli oggetti ritrovati in spiaggia e raccolti da Archeoplas­tica, progetto per sensibiliz­zare sull’inquinamen­to dei mari.

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A 16 anni il corpo è un’ossessione. Per tutti o quasi tutti. Si passano mezz’ore in bagno per ispezionar­e da vicino le imperfezio­ni della pelle. Ricordo in particolar­e i capannelli di adolescent­i radunate come il personale di una sala operatoria intorno al corpo di un’amica, magari al mare sotto un ombrellone, allo scopo di toglierle i punti neri. Su TikTok e YouTube ci sono video e tutorial per eseguire al meglio questa operazione, ma negli anni 80 del ’900 l’emblema della lotta contro brufoli e punti neri fu il Topexan, un detergente antisettic­o nato nel 1977 e popolariss­imo tra i giovani grazie a uno spot diventato poi un tormentone, come capitava ancora in quegli anni in cui non esisteva Internet e la tv aveva un peso nella formazione dei vernacoli giovanili.

Se ora sono qui, stupito ed emozionato, a riparlare di questo detergente di cui avevo perso la memoria, è perché mi sono imbattuto nella foto, pubblicata su Instagram, di una vecchissim­a confezione di Topexan ritrovata su una spiaggia brindisina (a riprova che la plastica non muore) grazie al lavoro di Enzo Suma, educatore ambientale pugliese e ideatore di Archeoplas­tica (archeoplas­tica.it), progetto nato dalla sua attività di pulizia delle spiagge nella zona di Ostuni. Suma si definisce «un accanito raccoglito­re di plastiche spiaggiate». Col tempo ha iniziato a fotografar­le, a caricare le immagini su Instagram e poi a ricostruir­e, con scrupolo filologico, la storia degli oggetti ritrovati, spesso accompagna­ndola con l’immagine di vecchie pagine pubblicita­rie. «Su Internet», racconta, «c’è chi vende singoli fogli di giornale con la pubblicità del Vinavil o di una crema per le mani». Dal 2018 Enzo cammina lungo le spiagge sia in inverno che in estate. Le correnti depositano i rifiuti in alcuni luoghi in particolar­e. Lo scopo è raccoglier­e le plastiche e documentar­ne l’indistrutt­ibilità, un fatto che diventa ancora più evidente quando le confezioni appaiono intatte pur risalendo a 60 anni fa. Suma conserva tutto in un garage, compresi gli oggetti raccolti su altri litorali che gli vengono spediti da amici e follower. La vista di una confezione di Caffè Suerte (fine anni 60) o del detersivo per lana Sole Delicato (1981), mute e misteriose come le statuine delle kòre al museo nazionale di Atene, provocano una vertigine e un vortice di memorie. Archeoplas­tica ha aperto un crowdfundi­ng e si definisce «un progetto di sensibiliz­zazione sull’inquinamen­to del

mare causato dalla plastica», ma ciò che lo distingue è un paradossal­e interesse per la plastica e la sua archeologi­a, tanto che gli oggetti raccolti sono già stati esposti in una serie di piccole mostre.

È un approccio nuovo in un contesto ecologista. Questa centralità dell’oggetto e della merce mi spinge a pensare a scrittori come Tommaso Labranca e Aldo Nove, che negli anni 90 collocaron­o i prodotti di consumo nel cuore della propria poetica. Qualcuno ricorderà il celebre incipit di un racconto di Nove, pubblicato nel 1994 in Woobinda e altre storie senza lieto fine: «Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiu­ma assurdo, Pure & Vegetal. Mia madre diceva che quel bagnoschiu­ma idrata la pelle, ma io uso Vidal».

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