LA GIUSTIZIA VA IN SPIAGGIA
C’è voluto un secolo per riparare una storia di ordinario razzismo.
Per i Black Angelenos, all’inizio del ’900, una giornata al mare spesso significava una giornata a Bruce’s Beach. Da Santa Monica, Venice Beach, Marina del Rey il Red Car – il tram che costeggiava il litorale californiano – li portava nel comune a predominanza “white” di Manhattan Beach, in quell’unica fetta di terreno e arenile divenuto, nel 1912, rifugio per gli afroamericani cui era vietato – segregazione docet – nuotare o godersi i centri ricreativi balneari progettati esclusivamente per i bianchi. I proprietari e piccoli imprenditori erano Willa e Charles Bruce, lei cuoca e lui sulle carrozze del tratto ferroviario Salt Lake City-L.A., che avevano comprato l’appezzamento per 1.220 dollari. Nel periodo di massimo splendore, la proprietà comprendeva un resort – il Bruce’s Beach Lodge – un hotel a due piani (dove affittare sdraio, costumi, asciugamani), gli spogliatoi sulla spiaggia, un ristorante e anche una sala da ballo, dove rilassarsi o ballare il foxtrot o il charleston al suono di una live band. Visto il successo di Bruce’s Beach, fra il 1912 e il ’25 altre famiglie afro-americane decisero di acquistare gli appezzamenti di terra limitrofi e sognare a loro volta una vita migliore. Con il successo arrivano però invidia, violenza, razzismo e politica. La scintilla che scatena l’appropriazione illegale di Bruce’s Beach è il grande boom economico immobiliare della California meridionale negli anni ’20 e, con esso, l’aumento delle politiche discriminatorie, delle alleanze restrittive, nonché l’applicazione delle ideologie razziste, grazie alle quali, nel 1927, con la scusa di voler costruire un parco pubblico sul posto – il Park and Playground Act del 1909 stabiliva che il governo poteva comprare ed evacuare i terreni privati per uso civico – il comune di Manhattan Beach acquista il terreno per 14.500 dollari, contro i 70mila chiesti per la proprietà più altri 50mila per danni causati dalla città. I Bruce li percepiscono fino al 1932, un anno dopo la morte di Charles. Willa morì due anni dopo, nel 1934.
Del parco non se ne fece nulla fino agli anni 60. Ma tutta questa brutta storia torna alla ribalta negli anni 2000 e successivamente in pieno Black Lives Matter. È allora che la marea cambia grazie all’intervento di consiglieri, residenti e all’elezione, nel 2006, di Mitch Ward, primo e unico sindaco nero di Manhattan Beach. Si comincia a parlare a livello giuridico e legislativo di riappropriazione e restituzione (Justice For Bruce’s Beach). È un percorso lungo, complesso e contrastato, fino al lieto fine che sta tutto nel discorso del Governatore della California Gavin Newsom, a giugno: «Lasciatemi fare ciò che apparentemente Manhattan Beach non è disposta a fare. Voglio prima scusarmi con la famiglia Bruce. C’è voluto quasi un secolo prima che lo Stato della California riconoscesse questa ingiustizia, ma alla fine il contenzioso è stato risolto a favore dei Bruce, con la restituzione a favore dei diretti discendenti». Quasi tutto è bene quel che finisce bene: i pronipoti dei Bruce si trovano improvvisamente molto ricchi, visto che quel pezzo di terra vale circa 75 milioni di dollari; le scuse formali della città di Manhattan Beach non sono ancora arrivate.