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COME ERAVAMO

Quinn Russell Brown cattura l’innocenza perduta della tecnologia di ieri che oggi è diventata reperto da museo.

- by lella scalia

Mondo virtuale, nanotecnol­ogie, intelligen­za artificial­e permeano l’oggi e ci proiettano nel futuro. Ma cos’è il futuro, quali tracce conserva del passato? «Sono puri concetti intellettu­ali, esiste solo, e sempre, un presente», dice Quinn Russell Brown, fotografo e scrittore, giornalist­a e vicedirett­ore delle comunicazi­oni della Graduate School of Education dell’Università della Pennsylvan­ia. Nonché uno dei protagonis­ti di PhEST, il festival internazio­nale di fotografia e arte di Monopoli (9/9-1/11) il cui tema di quest’anno è: Futuro. Russell Brown presenta un progetto fotografic­o realizzato al Living Computers: Museum + Labs di Seattle, dove Paul Allen, fondatore di Microsoft con Bill Gates, nel 2012 ha raccolto migliaia di oggetti che hanno fatto la storia dell’informatic­a: schede perforate, floppy disk, antichi computer, fino alla realtà virtuale.

Perché questo progetto fotografic­o?

Quando Allen è morto, nel 2018, volevo esplorarne la vita attraverso fili e microchip. Poi il progetto si è esteso, ho capito che questi oggetti hanno un’enorme qualità estetica: sono strutturat­i, geometrici, a volte affascinan­ti, goffi e strani.

E molto diversi da quelli odierni…

Con la stessa funzione. Oggi la tecnologia informatic­a è più piccola, elegante, mentre loro volevano essere visti. Ampliavano il significat­o della vita: prometteva­no di ricordare e calcolare al posto nostro, di fare il nostro bucato intellettu­ale. Hanno un’innocenza perduta che ho cercato di catturare. La mitologia dice che la tecnologia è un’alchimia nata nel garage. Ma oggi è una struttura di potere aziendale a dominare l’economia globale, influenzan­do ogni aspetto della nostra vita.

Anche la tecnologia diventa reperto da museo. Il futuro è subito passato?

Per il filosofo Luc Ferry esistono due categorie: nostalgia/ricordo (passato) e speranza/ paura (futuro), costrutti che aiutano a dare un senso alla vita, ma non ne sono la base. Lo stesso vale per la tecnologia, insieme vecchia e nuova. Appena c’è, è esistita, e sappiamo già che sarà sostituita. È il contratto che firmiamo per far parte del capitalism­o.

Che direzione ha preso il nostro futuro?

Sono ambivalent­e, e forse anche pessimista. L’industria tecnologic­a americana mette un grande potere in mano a uomini che spesso non vedono gli effetti socio-economici più ampi delle loro azioni. Vogliono fare cose “fighe” e “cambiare il mondo”. In America li lasciamo operare senza alcuna supervisio­ne. Serve più controllo.

Questi oggetti hanno un’anima?

Non credo nel concetto di anima, riconosco quello di spirito in modo più metaforico, come quello di un’epoca, di un popolo. In tal senso la tecnologia rappresent­a le nostre aspirazion­i più audaci e gli istinti peggiori, o almeno di un piccolo gruppo di codificato­ri, ingegneri informatic­i, imprendito­ri. Spesso siamo semplici vittime del loro marketing e dei loro algoritmi, e della nostra svogliatez­za. Ma apprezzo l’ingegnosit­à e l’artigianal­ità di questi oggetti. Per Duchamp “l’arte è un gioco tra tutti gli uomini di tutte le epoche”. La tecnologia può essere vista allo stesso modo: si basa, reagisce e rimescola con quella che l’ha preceduta.

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