DIVISE E DIVISIVE
A zig zag, a squame, a triangoli, con effetto gavettone o impronta digitale: non ci sono più le maglie di una volta. E i tifosi si dividono.
Anche a causa del passaggio dalla Fiorentina alla Juve, la scorsa stagione Dušan Vlahovic ha segnato i suoi 24 gol in campionato con addosso nove maglie diverse – viola, gialla, bianca, nera, bianconera, eccetera. Il fenomeno pare non avere limiti: le divise speciali sono diventate normali e un giorno arriveremo a 38 maglie su 38 giornate, con la possibilità a quel punto di cambiare casacca anche tra primo e secondo tempo.
Il crine tra tradizione e innovazione è uno dei nervi scoperti della guerra fredda tra boomer, millennial e Generazione Z. Su questo fronte l’Inter è da anni in prima linea, tra prime maglie squamate (2021-22) o a zig-zag (2020-21). Lo scorso 16 aprile la Juventus ha alzato l’asticella del vestibile sfoggiando contro il Bologna una maglia lontana anni-luce dalla sua austerità: triangoli bianchi, arancioni, blu, disegnati da Eduardo Kobra, street artist brasiliano da un milione di fan su Instagram. A questo punto il boomer strepita, s’indigna, non capisce; ma una fetta di tifosi sempre più ampia gradisce, e acquista anche. Lo dimostra il Milan rapidissimo a intercettare il vento del cambiamento: il 4 aprile, sempre contro il Bologna, i campioni d’Italia sono scesi in campo con una divisa che ha pavlovianamente indignato il pubblico dai 35 anni in su. In effetti era una maglia che osava: rossonera al centro, chiazzata di bianco in basso e sulle spalle, come colpita da un gavettone di vernice. È il frutto di una collaborazione tra Puma e Nemen, fashion brand con materiali all’avanguardia il cui fondatore, Leonardo Fasolo, è milanista da una vita. Prodotta in edizione limitata, ne è andato venduto il 95% degli esemplari: chi ha girato per Milano durante i festeggiamenti del 19° scudetto rossonero ne avrà notate parecchie.
Stiamo dunque assistendo a una nuova evoluzione dell’abbigliamento sportivo. Cavalcando lo scudetto il Milan sta sfornando special edition a ripetizione, fino a una “capsule collection” in occasione del concerto a San Siro dei Rolling Stones – del resto, il gioco di parole con Sympathy for the Devil è lì a un passo. Caso limite è il Napoli, che dal 2021 non ha più lo sponsor tecnico e si autoproduce le maglie, disegnate da Emporio Armani, senza porre freni alla fantasia. Quest’anno non si è fatto problemi a sfoggiare oltre 15 divise, alcune diventate introvabili e di culto per i collezionisti: spicca per bellezza e fantasia la maglia celebrativa di Maradona su cui è stampata l’impronta digitale di Diego (anche se “la mano de Dios” era intervenuta con l’Argentina...). Senza perdere l’identità custodita nei loghi, nei simboli e nei colori, la maglia si trasforma in capo d’abbigliamento indossabile ovunque: una metamorfosi che riguarda ancor più le tenute da riscaldamento, sempre meno “pigiami” e sempre più accattivanti, come quella proposta quest’anno sempre dal Milan, che declina il rossonero in un’esplosione di trame, linee, rettangoli. Insomma, vale tutto: e forse è proprio questo il senso dell’attuale prima maglia dell’Inter, che dopo l’effettoshock delle ultime due versioni è tornata “a casa”, alle più familiari strisce nere e azzurre, belle larghe, equidistanti, rassicuranti. E se fosse proprio questa la provocazione?