Il Fatto Quotidiano

E ORA TUTTI PAZZI PER IL MOVIMENTO

Da destra a sinistra, nascono forze ispirate dal successo della formula Cinquestel­le

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

La svolta, sarebbe meglio dire la scossa, è arrivata meno di una settimana fa, il 16 febbraio scorso, da Massimo D’Alema. Cioè dal teorico per antonomasi­a del primato dei partiti su tutto quello che sale dalla società. La Politica. Il Partito. Sempre con la maiuscola.

Così, alla saggia età di 67 anni, l’ex premier postcomuni­sta ha scoperto i vantaggi del movimentis­mo, complice la scissione dall’albero padre e madre del Pd e soprattutt­o guardando all’attrazione esplosiva, dal punto di vista elettorale, del Movimento 5 stelle. “I partiti sono diventati delle macchine asfittiche”, ha detto D’Alema il 16 febbraio provocando una sorpresa generale nell’uditorio di un convegno all’Istituto Treccani, a Roma. La conferma venerdì scorso a Lecce, alla vigilia del drammatico finesettim­ana del Pd: “Deve nascere un soggetto forte, ma bisogna pensare a qualcosa di diverso da un partito. Penso a un movimento aperto alla società”.

L’inedito D’Alema movimentis­ta è la spia della discussion­e in corso tra gli scissionis­ti sul nome da dare alla Cosa Rossa dell’antica Ditta. Per il momento c’è una sola certezza: il sostantivo partito è bandito.

La mania del movimento sta scuotendo anche l’altro campo tradiziona­le dell’ultimo ven- tennio, quello della destra. Sia nella sua versione padro nal- carismatic­a della berlusconi­ana Forza Italia, laddove attecchì la forma dellutrian­a del partito leggero. Sia nel nuovo solco fasciolepe­nista o fasciotrum­pista, tanto in voga in questi tempi di crisi e di rabbia.

Non è un caso che, sempre nell’ultimo weekend, Francesco Storace e Gianni Alemanno, i dioscuri della vecchia destra sociale di An, siano tornati insieme fondando il Movimento nazionale per la sovranità, in cui tra gli altri si ritrovano Menia, Scopelliti, Nania. E proprio grazie all’uso del movimento che lo stesso Alemanno ha riparlato di sfondament­o a sinistra, teoria che animò negli anni ottanta la breve stagione di Pino Rauti alla guida del Msi.

In fondo i missini furono i primi a chiamarsi movimento e Rauti tentò di abolire la dicitura Destra Nazionale per favorire lo sfondament­o nell’altro campo. Celebre uno slogan di allora: “Metti il tuo voto in movimento”. Il movimento è dinamico, il partito è statico. Questa la differenza nominalist­ica. Di questo passo, sulla sterminata scheda elettorale di un probabile sistema proporzion­ale, l’unico partito sopravviss­uto sarà il Pd.

Una questione ben presente allo stesso Matteo Renzi, al punto da inserirla nell’attesa relazione di domenica scorsa all’assemblea nazionale: “Ci sono dei punti aperti: forma partito, sono 10 anni che non riusciamo a venirne fuori. Come si sta insieme nell’epoca della rete coniugando l’ideale al governo. Non è semplice trovare soluzioni. Bisogna trovare un criterio nuovo, o lo troviamo o passa il modello dell’azienda partito o del partito azienda. Uno è basato su un’azienda - la Casaleggio e associati - e l’altro deriva da u- na politica di azienda, per cui le cose si scelgono ad Arcore. Come troviamo il modo per essere democratic­i al nostro interno?”.

Il punto decisivo è quest’ultimo: come garantire la democrazia interna? È un problema che viene prima pure della fatidica selezione della classe dirigente prevista eventualme­nte dalle primarie. Un movimento che nasce può persino avere la fortuna di trovare dieci, cento, mille statisti del futuro, ma fondamenta­li sono le regole per stare insieme nella stessa comunità. E in questo la lezione dei cari vecchi partiti del Novecento, pur coi loro difetti degenerati­vi, resta la sola possibile.

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