Padoan su Marroni fa finta di nulla: “Resta fino al 2018”
In Parlamento Il Tesoro è il datore di lavoro del manager Consip: “Lo scelse il governo Renzi, non ci sono motivi di decadenza”
In una Montecitorio non proprio strapiena, Pier Carlo Padoan ieri pomeriggio ha letto con tono monocorde due brevissime risposte ad altrettante interrogazioni sull’amministratore delegato di Consip Luigi Marroni. Il senso è questo: l’ha scelto Matteo Renzi e resterà al suo posto fino al 2018. In buona sostanza, il ministero dell’Economia – azionista al 100% della Centrale degli acquisti pubblici – blinda il manager, già assessore regionale alla sanità in Toscana, che accusa il ministro Luca Lotti di avergli rivelato l’esistenza di un’inchiesta giudiziaria raccomandandogli di fare attenzione (ne è seguita la bonifica dell’ufficio di Marroni, in cui i magistrati avevano installato delle cimici). La circostanza è stata smentita da Lotti. Padoan, che aveva già respinto le dimissioni dell’amministratore delegato, ieri ha rinunciato per l’ennesima volta a svolgere un ruolo politico nella vicenda e l’ha fatto a prezzo anche della sua credibilità di fronte al Parlamento.
LE INTERROGAZIONI – una di Sinistra Italiana, una di Forza Italia – sono assai circostanziate: la prima contesta a Padoan la procedura di nomina di Marroni, avvenuta senza trasparenza e confronto pubblico tra i curricula, per di più a vantaggio di un candidato in quel momento seduto su una poltrona politica (coincidenza vietata dalla direttiva del 2013 che regola le nomine nelle partecipate); la seconda sottolinea come lo stesso Marroni, che ha parlato ai pm delle pressioni ricevute per orientare le gare d’appalto, abbia violato sia lo Statuto (non dando notizia al ministero dei problemi) che il codice etico di Consip (ignorando la pre- scrizione di “operare nei rapporti coi terzi con imparzialità, trasparenza e correttezza, evitando di instaurare relazioni che siano frutto di sollecitazioni esterne o che possano generare un conflitto di interesse”).
Il ministro ha aggirato entrambe le questioni mostrando, se non fosse imbarazzo, poco rispetto al Parlamento. Risposta alla prima interrogazione: “Il Dipartimento del Tesoro accerta il possesso dei requisiti di legge da parte dei candidati individuati nell’e- sercizio delle prerogative dell’organo di indirizzo politico”. Tradotto: è tutto a posto. Incredulo Stefano Fassina, in gergo “l’interrogante”: “È chiaro che la normativa non è stata rispettata: il Dipartimento del Tesoro non ha svolto la dovuta istruttoria, non è stata fatta la short listda parte della società incaricata dal Mef di fare la selezione dei top manager e non è stato acquisito il parere del Comitato di Garanzia previsto dalla Direttiva del 2013. Inoltre, la nomina dell’ingegner Marroni contraddice uno dei requisiti di eleggibilità contenuto nella Direttiva che prevede l’esclusione di figure provenienti direttamente da incarichi politici”. Silenzio del ministro.
RISPOSTA di Padoan alla seconda interrogazione: “Marroni non si trova nella condizione per la quale lo Statuto della società contempla o prescrive la decadenza”. Tradotto: è tutto a posto. Certo, nessuno aveva parlato di decadenza, ma di un’assunzione di responsabilità politica del ministro, che invece ha rifiutato le dimissioni presentate dal manager Consip, ma tant’è. La cosa non ha reso felice Renato Brunetta: “Lei risponde in maniera apodittica che ‘è così perché è così’, che ‘non l’abbiamo rimosso perché non l’abbiamo rimosso’. Fino a quando, signor ministro, continuerà con questa sua incapacità di dar conto del suo operato? Fino a quando continuerà a non guardare in faccia la realtà?”.
Sulla procedura di nomina di Marroni, Sinistra Italiana ha annunciato un esposto all’Anac, ma al di là dei tecnicismi il punto è uno solo: “Lei qualche giorno fa ha confermato fiducia a Marroni – ha scandito Fassina rivolto a Padoan – il premier Gentiloni l’ha confermata a Lotti: le due figure hanno espresso posizioni contraddittorie e la fiducia del governo in entrambi risulta contraddittoria”. Il ministro, però, era lì per blindare l’amministratore delegato, non per spiegare perché è necessario farlo se il governo vuole – e lo vuole – sopravvivere.
Le accuse all’ad Sinistra Italiana: “Procedura di nomina scorretta”. Brunetta: “Ha violato lo Statuto”