Stangata su disabili e poveri per coprire i bonus e le mance
Il sistema I tagli del triennio renziano costringono le Regioni a sforbiciare i fondi sociali. Gli 80 euro pagati dai meno abbienti
Con una mano dare, con l’altra togliere, e quando scoppia il casino fare finta di indignarsi. Sono giorni in cui il governo dà il meglio di sé su una delle tante eredità lasciate da Matteo Renzi: l’enorme mole di tagli imposti alle Regioni per finanziare le diverse misure varate nei tre anni di governo del fiorentino, che ora presentano il conto. Questa storia è incredibile per l’irresponsabilità mostrata dai suoi protagonisti.
NEI GIORNIscorsi si è scoperto che per effetto di un’intesa nella Conferenza Stato-Regioni è stato deciso un maxi-taglio ai fondi sociali che vengono trasferiti dal primo alle seconde. Tra questi: 50 milioni al fondo per la non autosufficienza ( disabili, malati gravi e familiari che li assistono), che torna ai 450 stanziati a ottobre e 211 milioni a quello per le politiche speciali, che passa così da 311 a 99 milioni (-67%). Soldi che servono a finanziare, fra le altre cose, asili nido, misure di sostegno alle famiglie più povere, assistenza domiciliare e centri anti-violenza. Diverse associazioni si sono infuriate. Appresa la notizia – fornitagli da un’interrogazione della deputata Pd Donata Lenzi – il sottosegretario alle Politiche sociali Luigi Bobba (Pd) è cascato dal pero: “Il fatto è di una gravità inaudita. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali non ha partecipato al confronto e questa assenza costituisce un’aggravante perché conferma come le scelte per la salute siano totalmente subordinate a fattori economici”. I fattori economici sono i tagli imposti dal governo di cui Bobba ha fatto parte, e distribuiti in accordo con quello in cui siede attualmente.
Nei suoi tre anni l’esecutivo Renzi ha imposto tagli sanguinosi alle Regioni per finanziare le diverse manovre e contenere il deficit. Un esempio su tutti: la misura più sbandierata, il “bonus Irpef”, i famosi 80 euro in busta paga è arrivata ad aprile 2014 con un decreto che per coprire i costi (10 miliardi l’anno) ha imposto un taglio alle Regioni di circa 12 miliardi nel 2014-2020. Parliamo della “più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia” (Renzi). Funziona così: il governo vara la misura, la copre in parte con i tagli a Comuni e Regioni e, per queste ultime, gli lascia la scelta formale di dove tagliare.
Il 9 febbraio la Conferenza Stato-Regioni si è trovata così a dover ripartire i tagli del 2017 non ancora coperti: 2,7 miliardi. La proposta la fa il governo Qualsiasi
creditore, dalle banche allo strozzino, potranno acquisire la proprietà di un qualsiasi bene dato in garanzia in caso di mancato pagamento entro il termine stabilito, anche se vale più della somma dovuta e senza dover richiedere un provvedimento di esecuzione a un giudice. È quanto prevede l’articolo 11 della legge-delega al governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, già approvata alla Camera e ora in discussione al Senato in seconda lettura.
LA NORMATIVA che sta per essere varata dal Parlamento è probabilmente la picconata definitiva, dopo la libertà lasciata alle banche di appropriarsi degli immobili dei clienti non in regola con i pagamenti delle rate del mutuo, inferta da questo governo al e poi parte la trattativa con le Regioni: se salta tutto, vengono tagliati tutti insieme. Il 23 febbraio si arriva all’accordo. Il Documento finale – firmato dal ministro agli Affari regionali Enrico Costa – elenca la provenienza dei tagli: ben 2,2 miliardi vengono proprio dal decreto sul Bonus Irpef del 2014. La stangata è pesante: 1,7 miliardi vengono sottratti al fondo enti territoriali dove le Regioni hanno versato i risparmi di spesa; altri 100 ai contributi per gli investimenti. Poi c’è la scure sul sociale: -485 milioni. Il fondo per l’erogazione gratuita dei libri scolastici alle famiglie bisognose perde 70 milioni ( su 103), quello inquilini morosi incolpevoli altri 50, stessa cifra per i contributi all’edilizia scolastica mentre quella sanitaria perde 100 milioni (-50%). “Che esponenti del governo si meraviglino è allucinante – spiega Massimo Garavaglia, assessore in Lombardia e coordinatore per gli affari finanziari della Conferenza delle Regioni – Il documento è frutto di un lavoro fatto prima con il sottosegretario a Palazzo Chigi, Claudio De Vincenti poi con il suo successore, Maria Elena Boschi e infine siglato con il ministro Costa: la proposta è del governo, noi abbia- divieto del cosiddetto “patto co mmis sori o”. L’ar tico lo 2744 del codice civile vieta espressamente gli accordi dove si conviene che il bene dato in pegno o in ipoteca passi nella proprietà del creditore. La norma nel nostro ordinamento è messa a difesa di quella che era ritenuta fino ad oggi la parte debole del mo solo limitato i danni”. I tagli, infatti, sono superiori ai trasferimenti e i governatori si sono dovuti impegnare a versare allo Stato gli avanzi di bilancio. Senza intesa, si perdevano tutti i fondi. “Solo le manovre 2014, 2015, 2016 hanno tagliato alle Regioni ordinarie 8,1 miliardi nel 2017 – continua Garavaglia –. Nel quadriennio 2016-2019 si arriva a 50”. Tra questi, quelli alla Sanità: 2 miliardi nel 2016, altri 1,5 nel 2017, a cui si sono aggiunti i 422 milioni che le Regioni spe- contratto di finanziamento, dove la posizione del creditore, come gli istituti bancari, consente l’imposizione al debitore di regolamenti contrattuali già spesso ritenuti al limite del lecito.
MA A RIPORTARE il coltello dalla parte del manico di banche e finanziarie ci penserà il governo Gentiloni con una specifica previsione contenuta tra i criteri della legge di delega, che introduce un’esplicita deroga al divieto di patto commissorio anche nel caso in cui il valore del bene, seppure “determinato in via oggettiva”, sia maggiore rispetto al credito cui si riferisce la garanzia, salvo il pagamento della differenza al debitore. A mettere un freno alla prospettiva di un futuro far west nel ciali si sono rifiutate di subire. Quando a novembre 2015 i governatori si ribellarono all’ennesimo taglio, Renzi li convocò spiegando ironico: “Adesso ci divertiamo”. Passata la buriana, queste scelte presentano il conto, come i 3 miliardi tolti alle Province. Con l’intesa del governo, i fondi sociali che lo Stato gira alle Regioni vengono così tagliati del 40%. Tagli che colpiscono le fasce più deboli, le stesse che non hanno beneficiato degli 80 euro (non vanno agli incapienti), dell’abolizione dell’Imu prima casa o del taglio dell’Ires.
IL GOVERNO è tardivamente corso ai ripari. Oggi sarà approvata in Senato la legge delega per il contrasto alla povertà, che contiene il “Reddito di inclusione”: 400 euro mensili alle famiglie in estrema difficoltà con almeno un minore a carico. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha spiegato a Repubblica che ci sono 1,6 miliardi per il 2017, sufficienti ad aiutare 400 mila famiglie. Problema: quella è la cifra dal 2018, quest’anno ci sono solo 1,15 miliardi a disposizione e in povertà “assoluta” ci sono 1,6 milioni di nuclei (4,6 milioni di individui). Per coprirli tutti servirebbero 7 miliardi. mondo già selvaggio di mutui e prestiti ci hanno provato i deputati di Alternativa Libera Massimo Artini e Marco Baldassarre nel passaggio alla Camera.
In un ordine del giorno impegnavano il governo a prevedere, anche in successivi interventi normativi, che la deroga non si applicasse ai beni immobili e non avesse effetto retroattivo. Inoltre il valore dei beni oggetto dell’escussione stragiudiziale doveva essere accertato giudizialmente. L’unica concessione venuta dal governo e respinta dai parlamentari Miliardi, i tagli alle Regioni per il 2017 imposti dalle manovre del governo Renzi
La legge sulla povertà Oggi l’ok alla delega Poletti: “1,6 miliardi per 400 mila famiglie” Ma non è vero Fuorilegge Deroga al divieto del patto commissorio La stessa data agli istituti per i mutuatari I numeri
Miliardi solo quelli imposti dal decreto “Bonus Irpef” Milioni tolti al fondo non autosufficienza (50) e politiche sociali (211). Tagli pure a libri scolastici, edilizia sanitaria e inquilini morosi “civatiani” prevedeva che il valore dei beni fosse accertato da un “esperto di nomina giudiziale o, in ogni caso, munito di requisiti di assoluta professionalità ed indipendenza”.
La riformulazione è stata respinta e l’ordine del giorno è stato bocciato. “Il governo anziché far funzionare i tribunali, escogita norme che tolgono le garanzie offerte dalla magistratura a tutela dei debitori con difficoltà economiche – rimarcano Artini e Baldassarre - noi cercheremo di fermare questo scempio”.