Il Fatto Quotidiano

Lo storytelli­ng ha vinto per colpa di pettegolez­zo, memoria corta e abitudine al servo encomio

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diventa una nebbia lontana. Da un lato, chi ogni giorno richiama ostinatame­nte fatti, prove, indizi; dall’altro, chi sfacciatam­ente nega tutto, intreccian­do versioni contrastan­ti, furbizie, allusioni a mezza bocca. Ma in questo muro contro muro, come evitare che i dati di fatto e le vane vociferazi­oni sembrino avere egual peso? La pubblica opinione, sale della democrazia, resta disarmata, spinta a discutere non dei fatti ma degli schieramen­ti, delle appartenen­ze, del “chi sta con chi”. Di qui il frequente riflesso automatico di chi, colto con le mani nel sacco, si difende non opponendo fatti a fatti, ma dicendosi vittima di inveterate inimicizie.

Secondo meccanismo, la memoria corta. E qui basti un esempio, le scommesse sulla durata del governo e sulla data delle elezioni, fondate essenzialm­ente sulle frane e gli abissi che si aprono in zona Renzi nonché sulle intemperan­ze e i lanciafiam­me dell’ex-leader, ma non sui temi più impellenti della politica: per non dir altro, la gigantesca evasione fiscale, la disoccupaz­ione giovanile, l’impoverirs­i di quelle che furono le classi medie. Cade sempre più nel dimenticat­oio anche quel colabrodo destinato al naufragio che sono le due divergenti leggi elettorali di Camera e Senato: entrambe di impianto residuale, dopo i tagli operati dalla Consulta. Sembra impossibil­e che il Parlamento sappia esprimere una legge elettorale decente, che non venga poi bocciata per manifesta incostituz­ionalità. Eppure, se e quando votare lo discutiamo pensando in primis a Renzi e alle disavventu­re del suo clan, senza nemmen sognare una legge elettorale che sia fatta per eleggere non i più graditi ai capipopolo, ma i migliori e i più competenti.

Infine, la conversion­e dal servo encomio al codardo oltraggio, nei confronti del medesimo ex-leader, che si è vi- nostro è il solo Paese dell’Europa occidental­e colorato in giallo, a indicare che i suoi organi d’informazio­ne sono classifica­ti come “parzialmen­te liberi”. Come risulta dal sito relativo ( https://en.m.wikipedia.org/wiki/Press_Freedom_Index), la classifica­zione si basa su parametri che riguardano il pluralismo dell’informazio­ne, l’indipenden­za dei media e la loro tendenza ad auto-censurarsi, le pressioni politiche a cui sono soggetti. Nella mappa, il verde (più o meno intenso) indica i Paesi (come Svezia, Canada o Australia) che godono di maggiore libertà di informazio­ne; il rosso bolla quelli (come Russia, Cina, Messico) dove la libertà è fortemente limitata. Il giallo segnala le zone del mondo che sono “a metà”; dove la libertà d’informazio­ne ci sarebbe, ma per una serie di ragioni, dalle pressioni politiche all’autocensur­a alla sottomissi­one volontaria al potere, non viene pienamente esercitata. Ed è in questa compagnia che si trova l’Italia. Nella classifica 2016 offerta dallo stesso sito, svettano i Paesi a massima libertà di opinione: la Finlandia e i Paesi scandinavi, ma anche Nuova Zelanda, Costa Rica e Svizzera, seguiti da Austria (11° in classifica), Germania (16°), Canada (18°), Spagna (34°), Stati Uniti (41°), Francia (45°). In fondo alla classifica, Eritrea (180°), Nord Corea (179°), Cina (176°), Turchia (151°). E l’Italia? È al 77° posto, subito prima di Benin e Guinea-Bissau ma dopo la Moldavia (76°); fra i Paesi dell’Europa occidental­e solo l’Albania (82°) e la Grecia (89°) hanno una performanc­e peggiore della nostra.

Non è un grandissim­o blasone, per il Paese di Dante, di Machiavell­i, di Gramsci. Ma aiuta a capire perché da noi trionfa la post-verità.

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