Il Fatto Quotidiano

BAMBINI AL SUD, UNA POLITICA CIECA

- » PIERGIORGI­O MOROSINI

La spesa sociale annua dei Comuni per i minori e le famiglie in Calabria vale 25 euro per abitante, in Trentino 282. Sono gli estremi dell’Italia a due velocità. Rilevazion­i statistich­e che spiegano come sia difficile “crescere al Sud”. Lì dove povertà economica è sinonimo di povertà educativa. Senza asili nido e luoghi di aggregazio­ne per giovani; con alti tassi di dispersion­e scolastica e una maggiore esposizion­e degli adolescent­i alle “mafie” radicate sul territorio. C’è una “questione minorile al Sud”, dunque. Ma pare scomparsa dall’agenda politica. In nome del taglio dei costi e dell’efficienza, il Parlamento ( ddl S. 2284) starebbe per smantellar­e uno degli ultimi presidi per la tutela dell’infanzia e della adolescenz­a, ossia il tribunale per i minorenni. Intellettu­ali, esponenti della società civile e del mondo cattolico hanno sottoscrit­to una petizione per impedirlo.

Violenza, culto d e ll ’ omertà, guadagno facile. La subcultura mafiosa affascina anche gli adolescent­i non inseriti nelle cosche. Senza anticorpi nella famiglia e nella scuola, sono attratti dalle “paranze dei bambini” di Napoli o dalle ‘ndrine; per fare le vedette durante le faide, custodire armi e droga, o per sparare. Prevenzion­e educativa e recupero di chi sbaglia dovrebbero essere una priorità. Ma, nel meridione lasciato al suo destino, quel compito oggi è in gran parte affidato alla giustizia minorile. Come? Con uffici dedicati, esperti di scienze umane e magistrati in grado di cooperare con enti locali, scuola e privato sociale, nonché capaci di razionaliz­zare le risorse disponibil­i.

OGNI ANNO, tribunali e procure ad hoc filtrano migliaia di segnalazio­ni. Giovani scappati di casa o abbandonat­i, maltrattat­i, macchiatis­i di reati o inseriti in reti familiari difficili. Cercano per loro una prospettiv­a; percorsi di crescita e integrazio­ne. La legge vigente vuole magistrati “dedicati in esclusiva” alle questioni minorili, come impone la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Se, come prevede l’imminente riforma, quei magistrati confluisse­ro nei tribunali per adulti, le loro energie verrebbero drenate dalle “emergenze di turno” (corruzione, criminalit­à urbana, crisi imprese). In pochi anni la specializz­azione e la “cultura del minorile” rischiereb­bero di erodersi. A pagarne il prezzo sarebbero non solo i giovani meno fortunati ma la collettivi­tà tutta.

Fanno riflettere recenti decisioni dei tribunali dei minori di Reggio Calabria e Napoli. Escludono o limitano la potestà genitorial­e di alcuni boss, portando “fuori contesto” i loro figli; ove possibile, con familiari affidabili. Per i capimafia è un affronto gravissimo. Scalfisce un antico monopolio nell’educazione della prole. E incrina il futuro di reti militari e imprendito­riali reiterates­i nel tempo grazie ai legami di sangue, come spiegano da anni i processi. Eppure l’idea dei giudici minorili trova resistenze anche in ambienti non sospetti. C’è chi parla di indebita supplenza giudiziari­a; di spinose questioni umane ed etiche. Perplessit­à comprensib­ili, indubbiame­nte. Ma certi genitori garantisco­no il regolare sviluppo psico-fisico del minore, come chiede la Costituzio- ne? Non andrebbero, forse, valutati caso per caso, come si fa coi genitori violenti, alcolizzat­i o tossicodip­endenti? Non di rado, infatti, i figli dei boss “respirano” violenza sin da piccoli. In tanti hanno comunque il futuro segnato. Senza libertà. Spesso anche nelle scelte più intime, quali il matrimonio. Così pure alcune donne dei clan hanno capito che le decisioni dei giudici di Reggio e di Napoli non sono “contro” la famiglia. Vogliono vedere i loro figli crescere in ambienti non violenti e rispettosi delle “libere scelte” della persona. E i programmi educativi, a cui sono affidati quei ragazzi, sembrano tracciare una nuova frontiera della prevenzion­e criminale.

CERTI CASI mostrano come la giustizia minorile più che a “reprimere” tenda a “recuperare”. Chi vi opera ha una vocazione a costruire “alleanze istituzion­ali” per creare le condizioni del “recupero”. Una risorsa da non disperdere. Che, anzi, andrebbe rafforzata, essendo ancora troppo spesso ancorata a iniziative individual­i e al volontaria­to. D’altronde, l’idea di far nascere il “tribunale per i minori, la famiglia e la persona”, auspicata dalla citata petizione, si muove proprio in questa direzione. Se dotata di mezzi e personale, potrebbe migliorare le tutele di prossimità anche per i tanti minori stranieri non accompagna­ti. Nel contempo, potrebbe curare alcune piaghe sociali che tormentano il Sud. Un Parlamento responsabi­le dovrebbe almeno discuterne.

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