BAMBINI AL SUD, UNA POLITICA CIECA
La spesa sociale annua dei Comuni per i minori e le famiglie in Calabria vale 25 euro per abitante, in Trentino 282. Sono gli estremi dell’Italia a due velocità. Rilevazioni statistiche che spiegano come sia difficile “crescere al Sud”. Lì dove povertà economica è sinonimo di povertà educativa. Senza asili nido e luoghi di aggregazione per giovani; con alti tassi di dispersione scolastica e una maggiore esposizione degli adolescenti alle “mafie” radicate sul territorio. C’è una “questione minorile al Sud”, dunque. Ma pare scomparsa dall’agenda politica. In nome del taglio dei costi e dell’efficienza, il Parlamento ( ddl S. 2284) starebbe per smantellare uno degli ultimi presidi per la tutela dell’infanzia e della adolescenza, ossia il tribunale per i minorenni. Intellettuali, esponenti della società civile e del mondo cattolico hanno sottoscritto una petizione per impedirlo.
Violenza, culto d e ll ’ omertà, guadagno facile. La subcultura mafiosa affascina anche gli adolescenti non inseriti nelle cosche. Senza anticorpi nella famiglia e nella scuola, sono attratti dalle “paranze dei bambini” di Napoli o dalle ‘ndrine; per fare le vedette durante le faide, custodire armi e droga, o per sparare. Prevenzione educativa e recupero di chi sbaglia dovrebbero essere una priorità. Ma, nel meridione lasciato al suo destino, quel compito oggi è in gran parte affidato alla giustizia minorile. Come? Con uffici dedicati, esperti di scienze umane e magistrati in grado di cooperare con enti locali, scuola e privato sociale, nonché capaci di razionalizzare le risorse disponibili.
OGNI ANNO, tribunali e procure ad hoc filtrano migliaia di segnalazioni. Giovani scappati di casa o abbandonati, maltrattati, macchiatisi di reati o inseriti in reti familiari difficili. Cercano per loro una prospettiva; percorsi di crescita e integrazione. La legge vigente vuole magistrati “dedicati in esclusiva” alle questioni minorili, come impone la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Se, come prevede l’imminente riforma, quei magistrati confluissero nei tribunali per adulti, le loro energie verrebbero drenate dalle “emergenze di turno” (corruzione, criminalità urbana, crisi imprese). In pochi anni la specializzazione e la “cultura del minorile” rischierebbero di erodersi. A pagarne il prezzo sarebbero non solo i giovani meno fortunati ma la collettività tutta.
Fanno riflettere recenti decisioni dei tribunali dei minori di Reggio Calabria e Napoli. Escludono o limitano la potestà genitoriale di alcuni boss, portando “fuori contesto” i loro figli; ove possibile, con familiari affidabili. Per i capimafia è un affronto gravissimo. Scalfisce un antico monopolio nell’educazione della prole. E incrina il futuro di reti militari e imprenditoriali reiteratesi nel tempo grazie ai legami di sangue, come spiegano da anni i processi. Eppure l’idea dei giudici minorili trova resistenze anche in ambienti non sospetti. C’è chi parla di indebita supplenza giudiziaria; di spinose questioni umane ed etiche. Perplessità comprensibili, indubbiamente. Ma certi genitori garantiscono il regolare sviluppo psico-fisico del minore, come chiede la Costituzio- ne? Non andrebbero, forse, valutati caso per caso, come si fa coi genitori violenti, alcolizzati o tossicodipendenti? Non di rado, infatti, i figli dei boss “respirano” violenza sin da piccoli. In tanti hanno comunque il futuro segnato. Senza libertà. Spesso anche nelle scelte più intime, quali il matrimonio. Così pure alcune donne dei clan hanno capito che le decisioni dei giudici di Reggio e di Napoli non sono “contro” la famiglia. Vogliono vedere i loro figli crescere in ambienti non violenti e rispettosi delle “libere scelte” della persona. E i programmi educativi, a cui sono affidati quei ragazzi, sembrano tracciare una nuova frontiera della prevenzione criminale.
CERTI CASI mostrano come la giustizia minorile più che a “reprimere” tenda a “recuperare”. Chi vi opera ha una vocazione a costruire “alleanze istituzionali” per creare le condizioni del “recupero”. Una risorsa da non disperdere. Che, anzi, andrebbe rafforzata, essendo ancora troppo spesso ancorata a iniziative individuali e al volontariato. D’altronde, l’idea di far nascere il “tribunale per i minori, la famiglia e la persona”, auspicata dalla citata petizione, si muove proprio in questa direzione. Se dotata di mezzi e personale, potrebbe migliorare le tutele di prossimità anche per i tanti minori stranieri non accompagnati. Nel contempo, potrebbe curare alcune piaghe sociali che tormentano il Sud. Un Parlamento responsabile dovrebbe almeno discuterne.