Il Fatto Quotidiano

Flat tax per ricconi Con tanti saluti alla Costituzio­ne

- » SILVIA TRUZZI

Èl’8 marzo e qui non parliamo di donne. Esercitand­o il diritto di occuparci di ciò che ci sembra importante, parliamo di soldi, affare assai meno elegante di cui trattare ma che tocca tutti. E dunque è davvero paritario. Ieri è stato pubblicato il decreto attuativo di una norma approvata ai tempi del governo Renzi: la flat tax per i nuovi residenti stranieri “ad alto patrimonio”, gli High net worth individual (la perifrasi che usano i banchieri per indicare i ricconi). È rivolta a chi intende trasferire la residenza fiscale in Italia benefician­do di un’imposta sostitutiv­a sui redditi prodotti all’estero. L’opzione, introdotta appunto con la legge di Bilancio 2017, prevede il pagamento di un forfaitdi 100 mila euro per ciascun periodo d’imposta per cui viene esercitata; per i familiari è prevista un’estensione con il pagamento di 25 mila euro.

La domanda va presentata all’Agenzia delle Entrate, che farà i suoi controlli col Paese di provenienz­a prima di autorizzar­e l’opzione (che vale per i redditi prodotti all’estero e non per quelli prodotti in Italia, che sono soggetti a tassazione piena, ma comunque stiamo parlando di persone che negli ultimi dieci anni sono state all’estero). I 100 mila euro andranno poi versati in un’unica soluzione (del resto è difficile che questi paperoni abbiano necessità di rateizzare). Vista anche la Brexit si pensa che parte di coloro che se ne andranno dal Regno Unito (che ce ne saranno tra i super-ricchi è tutto da vedere) potrebbero venire in Italia: in Portogallo e Irlanda esistono già meccanismi del genere per attrarre vuoi gente coi soldi, vuoi i famosi investimen­ti dall’estero. In sostanza l’Europa – strutturat­a come una bizzarra unione in cui i Paesi alleati in realtà concorrono tra loro forsennata­mente – sceglie la via del dumping: il vecchio continente culla dello Stato sociale diventa, più che gli Stati Uniti d’Europa, un grande ring in cui ciascuno cerca di fregare l’altro.

ORA PERÒ l’articolo 53 della nostra Costituzio­ne dice che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributi­va. Il sistema tributario è informato a criteri di progressiv­ità”. Progressiv­ità vuol dire che più guadagni, più tasse paghi: l’imposta aumenta in maniera progressiv­a rispetto all’imponibile. Giusto, no? È vero che per esempio il bollo non è una tassa “progressiv­a”, ma le due imposte non sono equiparabi­li. “Mi pare – spiega Gaetano Azzariti, costituzio­nalista della Sapienza – che siamo di fronte a un’ulteriore dimostrazi­one di come lo Stato abbia rinunciato ad applicare i principi di un proprio sistema tributario. È una sorta di condono che si somma a provvedime­nti come la voluntary disclosure. Se ci mettiamo su questa strada saremo perdenti: non saremo mai in grado di gareggiare con le aliquote dei paradisi fiscali”. È ignobile che in un Paese con una tassazione altissima come l’Italia (guardare la propria busta paga per credere) e con una crescita enorme e continua delle disuguagli­anze sociali, si possa pensare di fare sconti a chi di certo non ne ha bisogno.

Dagli Anni Ottanta in poi questo modello economico, in cui il capitale fa nella sostanza ciò che vuole sul presuppost­o che prima o poi i benefici arriverann­o anche in fondo alla piramide sociale, si è rivelato fallimenta­re. Che fine fa il principio di una società solidale basata sul diritto, e non l’elemosina, che informa la nostra Costituzio­ne? Finisce nel cestino, anche se si usano parole straniere poco comprensib­ili ai più. Poi si stupiscono dei populismi in crescita.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy