Delle colpe dei padri è lastricata la letteratura
Gli scrittori che hanno messo a frutto l’infausta eredità
Chissà se Matteo Renzi, nel suo imminente libro, avrà trovato modo e spazio di parlare dell’ingombrantissimo padre Tiziano. Certo è che, in questi giorni, si fa un gran vociare sulle colpe dei padri che ricadono sui figli: alcuni figli, però, intelligentemente, maliziosamente, hanno fatto buon viso a cattivo gioco, sfruttando proprio l’infausta eredità per trarne fortuna letteraria.
L’ultima in tal senso è Teresa Ciabatti con l’autofiction La più amata( Mondadori), amata dal padre Lorenzo in odor di massoneria. Fu, tuttavia, Chiara Gamberale a inaugurare per certi versi il genere dei “figli di”, di padri sciagurati innanzitutto: nel 1999 la scrittrice trasse ispirazione dalle vicende giudiziarie del padre Vito – arrestato e poi assolto per abuso d’ufficio e concussione –, e dalla tragedia familiare che ne seguì, per imbastire il suo romanzo d’esordio Una vita sottile (Marsilio), trasformato anche in fiction dalla Rai. I guai del genitore sancirono così il fortunato debutto di una futura firma della narrativa italiana.
Alessandro Vincenzo Cerami, Darwin Pa sto ri n, Paolo Rossi, Margaret Mazzantini...
Giampiero Mughini scrisse persino una lettera a Dagospiain cui invitava tutti a “pulirsi le scarpe con le etichette ideologiche” perché non esistono padri fascisti, ma padri, punto: “Dopo il 25 aprile 1945 non ci sono più fascisti e antifascisti, ci sono persone, ognuna con una sua storia, con un suo dolore, con una sua memoria, con un suo onore, con una sua lealtà”.
IL NOVECENTO, letterario e non, ha a lungo lucrato sul confronto- scontro generazionale, inventandosi fantomatici complessi psicoanalitici pur di giustificare il parricidio. Ma chi è Edipo e chi Laio quando, ad esempio, un poeta come Umberto Saba definisce il padre “a s sa s s ino”? “Mio padre è stato per me ‘ l’a s s a s s in o ’;/ fino ai vent’anni che l’ho conosciuto./ Allora ho visto ch’egli era un bambino,/ e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto”.
Pur abbandonato alla na- scita dal genitore, Saba trovò il modo di riconciliarsi con lui nella sua Autobio grafia (1924), rimettendogli i debiti, assolvendogli le colpe. Delle colpe di Thomas non è dato invece sapere, se non per bocca di Klaus Mann, che, nell’autobiografico La svolta, appena riedito dal Saggiatore, parla del padre come “la più amara problematica della mia vita”. E infatti se la tolse.
I padri spesso si fan fuori da soli, lasciando i figli a lamentarsi e a lacrimare, salvo poi ricamarci su pagine memorabili e ormai classiche, come nella Coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923). Il genitore castrante, autoritario e borghese per eccellenza resta però quello di Franz Kafka, al secolo Hermann: “Anche quando scrivo mi bloccano la paura di te e le sue conseguenze”, appuntò il figlio nella Lettera al padre. “Tu non mi rinfacci atteggiamenti poco dignitosi o malvagi, ma freddezza, estraneità, ingratitudine. E me le rinfacci come se la colpa fosse solo mia, mentre tu non avresti nessuna colpa... Ma io sono altrettanto innocente”.
Era il 1919, quella lettera non fu mai recapitata: anche i padri assenti, ignari e vecchi fan buon brodo nella storia della letteratura.