Il Fatto Quotidiano

ANGELO GILARDINO

- » PAOLO ISOTTA

FIGLIO DI è pure

Moggi, che sulla sua parentela scherza persino, tanto da averla dichiarata nel titolo (Cairo). A proposito di papà Luciano, commenta: “Stesso cognome, due mondi diversi. C’era chi era arrabbiato con lui e se la prendeva con me”. Anche per Moggi jr non è stato facile sopportare il fardello paterno – ci ha quasi rimesso la vita –, eppure, alla fine, ha fatto di necessità virtù, conquistan­dosi col libro ampia visibilità e le simpatie dei media e delle librerie.

Non solo le colpe dei padri fanno la fortuna (cartacea) dei figli: pure le colpe dei nonni! È il caso di Lorenzo Pavolini, che nel 2010 arrivò in cinquina allo Strega con un romanzo sul fascistiss­imo ministro Alessandro, protagonis­ta di Accanto alla tigre (Fandango). Di parenti in camicia nera sono pieni gli scaffali, da Mio padre era fascista di Pigi Battista (Mondadori), successo editoriale dello scorso anno, al recente “mém oi r e ” di Alessandro Di Battista A testa in su (Rizzoli), in cui racconta il tormentato rapporto col genitore super conservato­re.

La stagione dei padri fascisti è di poco precedente a quella dei padri faccendier­i, coinvolti non sempre giustament­e in tangentopo­li varie e logge piduiste: a fare i conti in casa con il regime, prima di Battista, si era messo Marco Lodoli ( Italia , Einaudi 2010), seguito dal “coming ou t” di altri intellettu­ali, giornalist­i e artisti, come Il

passeggero che, discendend­o dalla strada di Posillipo, imbocchi Mergellina, si trova a mano destra la maestosa fontana costruita nel 1635 su disegno del dio del Barocco napoletano, Cosimo Fanzago. Al centro un florido vecchio; sopra due tritoni; sotto due mostri marini ch’eruttavano acqua.

La fontana raffigura il Sebeto, il fiume che allora, e nemmeno quando Boccaccio fu a Napoli, esisteva più. Ma era sita, la fontana, in altro luogo, e precisamen­te ai piedi della collina di Pizzofalco­ne, sede del primo insediamen­to greco chiamato Pal epo li per distinguer­lo dalla nuova N e ap o l i: e proprio lì sfociava a mare il fiume, nato sul Monte Somma, ossia il vulcano (solo dopo l’eruzione di Pompei il Vesuvio si scisse in due montagne).

Virgilio, Stazio e Columella parlano del corso d’acqua alla memoria mitica del quale Angelo Gilardino scrive (2013) un Concerto per due chitarre e orchestra intitolato Concerto del Sepeithos, il nome greco di Sebet ho; il quale esce in questi giorni in disco insieme con la Sonata Riviera di Chiaia. Passeggio reale per due chitarre.

GILARDINO non è napoletano; è un illustre chitarrist­a vercellese, musicista completo e uomo di cultura (“Ho fatto la scuola dell’obbligo”, si vanta; e noi pensiamo alla moltitudin­e di cretini laureati) che nutre per Napoli un amore diviso in due. Da un lato è mitico e letterario; dall’altro va alla gente, ai luoghi, alla lingua.

Nella bella premessa all’incisione (edita dal Conservato­rio “Domenico Cimarosa” di Avellino) egli precisa di non scrivere musica “pittoresca”, e addirittu- ra di credere che la musica “di p ae s ag g io ” sia un’i nv e nz i on e dei grandi compositor­i che vi si sono dedicati. È vero; ciò non toglie che l’ultimo tempo del Concerto, una astratta ma trascinant­e danza, sia un omaggio al Saltarello (in realtà una Tarantella napoletana) dell’ultimo tempo della Sinfonia Italiana di Mendelssoh­n; e che il terzo movimento (“Allegretto”) sia l’ultima delle Tarantelle scritte in ordine di tempo da un compositor­e cosiddetto “colto”.

L’una e l’altra, nel rigore della scrittura, posseggono qualcosa di inquietant­e e non sempliceme­nte di gioioso; sono invase dal demone meridianoe ci ricordano

Il musicista Uomo del Nord, innamorato dei luoghi, del lato letterario dei napoletani e della loro lingua

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