Il Fatto Quotidiano

Paolo e Carlotta, dialoghi su un cinico cronista al Vajont

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che la danza, precedente alla discesa degl’Indoeurope­i nella penisola, era un rito magico implicante la possession­e. Lo si vede dai “pedali” di La, l’unica nota attribuita al timpano per l’intera opera.

Ho detto che il Concerto di Gilardino non è musica pittoresca. te le squadre dei quotidiani. E ho imparato due o tre cose che in seguito mi sarebbero servite molto per non mitizzare in modo eccessivo il giornalism­o italiano. La prima fu che, se volevo far bene il mio lavoro di cronista, non dovevo soffrire per quel che stavo vedendo e scrivendo. Per essere chiaro, avevo l’obbligo di blindarmi di cinismo. C’erano stati tanti morti? Pazienza, io ero ancora vivo (...) È frutto di una magistrale tecnica compositiv­a ed è l’elaborazio­ne del medesimo nucleo tematico per il giro dei cinque movimenti.

LE PARTI per chitarra s’in seriscono nella struttura e, pur essendo di grande soddisfazi­one Il mio cinismo venne incoraggia­to dal vedere come si comportava­no i capi delle squadre (...) dei settimanal­i più importanti”.

“C’ERANOquasi tutte le grandi firme del giornalism­o italiano (...). Si odiavano tutti. Durante la riunione plenaria del mezzogiorn­o (...) si insultavan­o, si deridevano, si rinfacciav­ano colpe inesistent­i o sgarbi presunti. Qualche tecnica per gl’interpreti, non sono meramente virtuosist­iche. Questo pezzo, che mi pare idealmente ispirato nello stile a uno degli ultimi capolavori di Stravinski­j, Agon, riesce a una cosa rara nella musica dei nostri giorni, di coniugare rigore compositiv­o a piacevolez­za dell’ascolto: onde mi auguro possa entrare nel repertorio perché il successo sarebbe garantito.

DUE NOTISSIMI chitarrist­i, Aniello Desiderio e Lucio Matarazzo, napoletani, hanno mostrato di esser, oltre che virtuosi di alto livello, intelligen­ti e coraggiosi: per aver commission­ato il Concerto al maestro Gilardino invece di ripercorre­re le strade solite e facili. Meritano il plauso insieme coll’o rc he st ra del Conservato­rio diretta da Massimo Testa.

www.paoloisott­a.it volta rischiavan­o di venire alle mani. Un giorno, durante il pranzo, uno di loro, Giorgio Bocca, inviato del G io rn o, scagliò una bistecca contro il leader della squadra concorrent­e: Alberto Cavallari, firma del Corriere della Sera. E lo mancò di poco.

Mezza Italia piangeva sui morti del Vajont. E la grande stampa si faceva la forca con una piccineria ridicola. Fu allora che la mia attenzione si rivolse verso un altro spettacolo che non aveva niente in comune con il nostro compito di raccontare la strage”.

“I mm agi no che fossero le donne di Belluno” osservò Carlotta con malizia. “Sì, proprio loro” (...).

Il cinismo e il piacere di scrutare le donne di Belluno mi resero meno faticoso il servizio sul Vajont. Neppure lo Stanzone degli Orrori, dove venivano raccolte le fotografie dei corpi ripescati nel Piave, mi sconvolse. A difendermi era la corazza della mia età (...). Di ogni salma (...) una scheda, corredata dalle fotografie scattate quando era stata appena ritrovata. E le schede stavano su tre grandi tavoli del salone municipale. Qui arrivavano i parenti o gli amici di chi era scomparso sotto l’ondata. Nella speranza di non riconoscer­e in quelle immagini terribili i tratti di una persona amata. (...). Uno dei tanti articoli che scrissi per La Stampa de sc ri ve va quel posto infernale e le persone che lo frequentav­ano, sospinte da una speranza destinata a sfaldarsi. E fu lì che mi resi conto di quanto stava accadendo in città e che nessun giornale aveva il coraggio di scrivere (...).

“CHE COSA avveniva?” domandò Carlotta. “Quello che succede in tutte le comunità che hanno sfiorato il pericolo di sparire. All’orrore subentra la frenesia di provare a se stessi di essere ancora in vita. E la frenesia genera il primo dei desideri che lo dimostrano: il sesso (...). I maschi arrivati sul posto per occuparsi della catastrofe del Vajont e di quello che ne seguiva erano davvero tanti. Gli inviati e i corrispond­enti dei giornali italiani e stranieri risultavan­o più di cento. Affiancati da una miriade di agenti di polizia, carabinier­i, alpini, tecnici della television­e e della radio, esperti di catastrofi, operatori sanitari, tirapiedi dei politici e personale della Sade, la società proprietar­ia della diga che, in seguito, venne processata. Le poche prostitute di Belluno (...) non potevano certo soddisfare tutti questi possibili clienti. A risolvere il problema furono le squillo di altre località (...). Le più belle, e le più costose, venivano da Cortina d’Amp ezzo, dove l’al ta stagione turistica si era già conclusa (...). Le squillo facevano gli straordina­ri. Si davano il cambio, come accadeva nei bordelli di quel tempo. Su tutto questo circo, incombeva una certezza: nessuno sarebbe stato condannato per la frana precipitat­a nel grande invaso della diga”.

“Andò davvero così?” chiese Carlotta. “Sì. A conferma che siamo un paese che ai potenti non manda mai il conto. Loro la fanno sempre franca”.

L’Italia piangeva morti e la grande stampa si faceva la forca con una piccineria ridicola. Bocca tirò una bistecca contro Cavallari

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