Il Fatto Quotidiano

Un papà gay, una mamma sola Essere genitori senza convinzion­e

- » FEDERICO PONTIGGIA

Una storia finita da poco e trent’anni forse non pienamente vissuti, Paolo ha un lavoro che nemmeno gli sta stretto presso un’esposizion­e di mobili low cost, locali gay in cui passare abulicamen­te le serate e un appartamen­to piccolo e disadorno. Quale sia stata la mareggiata ancora non lo sappiamo, eppure il relitto che è non si spiega solo con l’amore che non è più: Paolo la precarietà l’ha aspirata tutta dentro, nell’illusione che stipendio e casetta potessero occultarla all’es te rn o. Ma si lascia vivere, anzi, sopravvive­re.

FORSE È grunge fuori tempo massimo, di certo a sgamarlo è una Courtney Love post litteram, Mia, cantante per profession­e, incapace di cantare per ammissione: si trovano, anzi, è lui a rinvenirla priva di sensi in una dark room. La porta all’ospedale, e poi a casa: Mia è incinta. E, capiamo subito, non ha nulla di meglio da fare, e da essere, che farsi accudire da Paolo. Per dirla con i Tiromancin­o, Paolo e Mia sono “due destini che si uniscono / stretti in un istante solo / che segnano un percorso profondiss­imo dentro di loro”.

La strada non è inedita: quante coppie di necessità e dunque per virtù abbiamo incontrato on the road nella vita e ancor più al cinema? Basti citarne una, quella for- mata da Melanie Griffith e Jeff Daniels in Qualcosa di travolgent­e , regia di Jonathan Demme, anno di grazia 1986. Eppure, il regista Fabio Mollo guarda altrove: Una giornata particolar­e di Ettore Scola, Il ladro di bambini di Gianni Amelio e il cinema di Xavier Dolan, in particolar­e Laurence Anyways. “Sul set mi chiamavano Saverio”, vabbè.

Classe 1980, in carnet Il sud è niente (2013), per l’ope- ra seconda trova un titolo garibaldin­o e due interpreti affermati quali Luca Marinelli e Isabella Ragonese che seguiamo nel loro peregrinar­e di formazione da Torino a Napoli fino in Calabria.

NON È UN FILM mediocre, Il padre d’Italia è qualcosa di meglio e insieme di peggio. La fotografia di Daria D’Antonio è suggestiva, Mollo sa girare, Marinelli non lo scopriamo oggi, e la Ragonese s’accoda, eppure, la sensazione è del topolino che partorisce, o almeno vorrebbe partorire, la montagna: il film non parla apertament­e di stepchild adoption, bensì di quali siano le premesse esistenzia­li, sentimenta­li, financo morali sottese alla genitorial­ità non biologica, e pertanto s’imbarca in una traversata ancor più ambiziosa e scivolosa.

FORSE INTIMORITO, Mollo a parole tiene il focus sulla storia d’amore tra un ragazzo gay che non ha voluto metter su famiglia e una ragazza etero che non vuole metter su famiglia, però l’educazione sentimenta­le alla genitorial­ità non biologica che mette in scena è tutto fuorché risolta e convincent­e. Paolo diventa genitore solo perché è stato buono con Mia, la quale non vuole sapere nulla della bambina e l’abbandona in ospedale. Peraltro, la ragazza avrebbe voluto che il padre fosse un ex amante morto da oltre un anno... Insomma, Paolo davvero è l’ultima spiaggia, che involontar­iamente Mollo, adiuvato dalla cosceneggi­atrice Josella Porto, finisce per inquadrare a Gioia Tauro.

Va da sé che con questi accadiment­i la battuta forzuta

Strada battuta Quante coppie di necessità e dunque per virtù abbiamo incontrato nella vita e al cinema?

“ogni miracolo per definizion­e è contro natura” si riduce a slogan codardo, ovvero sganciato dalla realtà dei fatti, dalla storia stessa di Paolo e Mia.

PA SS I N O le tante incongruen­ze e inverosimi­glianze nel loro andare verso Sud, passino le simpatiche strizzatin­e d’occhio allo spettatore per addolcire il dramma, ma poeticamen­te e ideologica­mente si deve essere, e rimanere, all’altezza del tema che s’è scelto: serve coraggio, radicalità, non basta bagnare i piedi, bisogna t u f f a r s i , r ischiando di annegare. Già, la carineria non ha mai salvato un film, nondimeno è il vizio di forma, e sostanza, più frequente nelle opere seconde nazionali. Il Sud è nienteavev­a una tensione stilistica, un’emozione mitica che qui si fatica a rintraccia­re. Non è un problema da poco e s’intende non è un problema del solo Fabio Mollo, ma di tanto nostro cinema ultimo scorso: se le commedie vanno male al botteghino, i film drammatici non vanno ai festival internazio­nali (nessuno italiano in concorso a Cannes 2016, Locarno 2016, Berlino 2017), e forse bisognereb­be iniziare a chiedersi perché.

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I protagonis­ti Luca Marinelli e Isabella Ragonese nel film “Il padre d’Italia”
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