Un papà gay, una mamma sola Essere genitori senza convinzione
Una storia finita da poco e trent’anni forse non pienamente vissuti, Paolo ha un lavoro che nemmeno gli sta stretto presso un’esposizione di mobili low cost, locali gay in cui passare abulicamente le serate e un appartamento piccolo e disadorno. Quale sia stata la mareggiata ancora non lo sappiamo, eppure il relitto che è non si spiega solo con l’amore che non è più: Paolo la precarietà l’ha aspirata tutta dentro, nell’illusione che stipendio e casetta potessero occultarla all’es te rn o. Ma si lascia vivere, anzi, sopravvivere.
FORSE È grunge fuori tempo massimo, di certo a sgamarlo è una Courtney Love post litteram, Mia, cantante per professione, incapace di cantare per ammissione: si trovano, anzi, è lui a rinvenirla priva di sensi in una dark room. La porta all’ospedale, e poi a casa: Mia è incinta. E, capiamo subito, non ha nulla di meglio da fare, e da essere, che farsi accudire da Paolo. Per dirla con i Tiromancino, Paolo e Mia sono “due destini che si uniscono / stretti in un istante solo / che segnano un percorso profondissimo dentro di loro”.
La strada non è inedita: quante coppie di necessità e dunque per virtù abbiamo incontrato on the road nella vita e ancor più al cinema? Basti citarne una, quella for- mata da Melanie Griffith e Jeff Daniels in Qualcosa di travolgente , regia di Jonathan Demme, anno di grazia 1986. Eppure, il regista Fabio Mollo guarda altrove: Una giornata particolare di Ettore Scola, Il ladro di bambini di Gianni Amelio e il cinema di Xavier Dolan, in particolare Laurence Anyways. “Sul set mi chiamavano Saverio”, vabbè.
Classe 1980, in carnet Il sud è niente (2013), per l’ope- ra seconda trova un titolo garibaldino e due interpreti affermati quali Luca Marinelli e Isabella Ragonese che seguiamo nel loro peregrinare di formazione da Torino a Napoli fino in Calabria.
NON È UN FILM mediocre, Il padre d’Italia è qualcosa di meglio e insieme di peggio. La fotografia di Daria D’Antonio è suggestiva, Mollo sa girare, Marinelli non lo scopriamo oggi, e la Ragonese s’accoda, eppure, la sensazione è del topolino che partorisce, o almeno vorrebbe partorire, la montagna: il film non parla apertamente di stepchild adoption, bensì di quali siano le premesse esistenziali, sentimentali, financo morali sottese alla genitorialità non biologica, e pertanto s’imbarca in una traversata ancor più ambiziosa e scivolosa.
FORSE INTIMORITO, Mollo a parole tiene il focus sulla storia d’amore tra un ragazzo gay che non ha voluto metter su famiglia e una ragazza etero che non vuole metter su famiglia, però l’educazione sentimentale alla genitorialità non biologica che mette in scena è tutto fuorché risolta e convincente. Paolo diventa genitore solo perché è stato buono con Mia, la quale non vuole sapere nulla della bambina e l’abbandona in ospedale. Peraltro, la ragazza avrebbe voluto che il padre fosse un ex amante morto da oltre un anno... Insomma, Paolo davvero è l’ultima spiaggia, che involontariamente Mollo, adiuvato dalla cosceneggiatrice Josella Porto, finisce per inquadrare a Gioia Tauro.
Va da sé che con questi accadimenti la battuta forzuta
Strada battuta Quante coppie di necessità e dunque per virtù abbiamo incontrato nella vita e al cinema?
“ogni miracolo per definizione è contro natura” si riduce a slogan codardo, ovvero sganciato dalla realtà dei fatti, dalla storia stessa di Paolo e Mia.
PA SS I N O le tante incongruenze e inverosimiglianze nel loro andare verso Sud, passino le simpatiche strizzatine d’occhio allo spettatore per addolcire il dramma, ma poeticamente e ideologicamente si deve essere, e rimanere, all’altezza del tema che s’è scelto: serve coraggio, radicalità, non basta bagnare i piedi, bisogna t u f f a r s i , r ischiando di annegare. Già, la carineria non ha mai salvato un film, nondimeno è il vizio di forma, e sostanza, più frequente nelle opere seconde nazionali. Il Sud è nienteaveva una tensione stilistica, un’emozione mitica che qui si fatica a rintracciare. Non è un problema da poco e s’intende non è un problema del solo Fabio Mollo, ma di tanto nostro cinema ultimo scorso: se le commedie vanno male al botteghino, i film drammatici non vanno ai festival internazionali (nessuno italiano in concorso a Cannes 2016, Locarno 2016, Berlino 2017), e forse bisognerebbe iniziare a chiedersi perché.