Il Fatto Quotidiano

Forte, amato, italiano ma nero Il pugile cancellato dalla storia

Leone Jacovacci, sconfitto solo dal razzismo

- » FEDERICO PONTIGGIA

Sul ring, il bianco e il nero, l’italiano e l’italiano (rin)negato. È il 24 giugno 1928, anno VI dell’era fascista, allo Stadio Nazionale di Roma sono radunati quarantami­la spettatori, l’incontro viene filmato, e c’è pure l’inedita radiocrona­ca dell’Eiar: a incrociare i guantoni Mario Bosisio, campione nazionale ed europeo dei pesi medi, e lo sfidante Leone Jacovacci. È la prima volta che il titolo continenta­le si disputa tra due italiani, e per l’occasione tra i quarantami­la trovano posto gerarchi quali Sirianni, Balbo, Bottai, e persino Gabriele d’Annunzio.

Da martedì 21 marzo (Giornata mondiale contro il razzismo) in sala, questo match dimenticat­o ritorna ne Il pugile del Duce, documentar­io di Tony Saccucci prodotto e distribuit­o da Istituto Luce-Cinecittà. Tratto da Nero di Roma di Mauro Valeri, riscopre una storia di ordinario razzismo e straordina­ria resistenza, per offrire una rivincita postuma e attualissi­ma: “La memoria cancellata del pugile – osserva Valeri – è un prodromo dei fischi a Mario Balotelli”.

IL MILANESE Bosisio è longilineo, flessuoso e biondo, il romano Jacovacci muscoloso, potente e crespo: si sono già incrociati al Teatro Carcano, Leone vinse a furor di popolo e fu prepondera­nte anche per gli arbitri, ma il match venne incredibil­mente dichiarato nullo. Per capire l’atmosfera e il mito che si respira quella sera di 90 anni fa sulla Flaminia conviene ripensare alla Rumble in the Jungle del 30 ottobre 1974 a Kinshasa, che vide contrappos­ti l’allora campione del mondo dei pesi massimi George Foreman e il predecesso­re Muhammad Ali. Già, ma che c’azzeccano due pugili neri e l’ex Congo Belga? C’entrano: anche Leone è nero, anzi mulatto, ed è nato a Pombo, Congo, da Umberto Jacovacci e la principess­a babuendi Zibu Mabeta. Il padre lo porterà piccolissi­mo in Italia, dove cresce tra Viterbo, collegio, e Trastevere. Leone tenta plurime fughe, prova costante insofferen­za, a 16 anni la svolta: raggiunge Taranto, si imbarca da mozzo per Sua Maestà britannica. A Londra l’apprendist­ato sul ring, il nome d’arte, Jack Walker, è un omaggio al suo idolo, l’americano re dei massimi Jack Dempsey. A Parigi si segnala prepotente- mente con un tabellino di venticinqu­e vittorie su altrettant­i incontri, batte anche il campione europeo, il belga Davos, ma è l’Italia che chiama casa, è l’Italia che vuole, e la vuole da quel che è: italiano. “Nella storiograf­ia, i neri in Italia praticamen­te non esistono, e questo – rileva Valeri – ha favorito una certa mancanza di anticorpi antirazzis­ti nel presente. Ugualmente, oggi i neri e meticci italiani non trovano rappresent­azione nei media: non esiste una serie tv, una trasmissio­ne che rappresent­i una popolazion­e di otto milioni di persone”.

Seguito, amato e celebrato da Trieste in giù, Leone deve però combattere per ottene- re la cittadinan­za: lo fa per quattro anni, sballottat­o tra giornali e uffici, politica e burocrazia. Lotta per qualcosa che gli è dovuto, ma che la temperie fascista gli nega: se la vulgata voleva “i pugili neri vincenti perché forti, i bianchi perché intelligen­ti”, e gli apprezzame­nti andavano da “magnifico mulatto” a “caffè e latte Jacovacci”, gli insulti si possono facilmente immaginare.

ERA FORTE, Leone, forse il più forte del continente, e a fargli abbassare i guantoni non fu un avversario, ma un nemico: il razzismo, che non tollerava un campione meticcio, mulatto, negro. La vittoria su Bosisio fu la sua sconfitta: nel librone dove teneva il ruolino di marcia e incollava gli articoli che lo riguardava­no, l’epilogo trionfale al Flaminio Leone lo annota solo in un secondo momento, risposta timida e tardiva alla damnatio memoriae decretata da Mussolini. Sì, il Duce lo fece cancellare dalla storia d’Italia, espungendo­lo dal filmato: “Jacovacci cessa di esistere, grazie a forbici, silenzio e zoom su Bosisio il bianco. La storia – sottolinea Saccucci – si costruisce in sala montaggio, diventa scienza politica: post-verità a tutti gli effetti”. Ecco allora che Il pugile del Duce “prova a creare una contro-storia, manipolata anch’essa, per dare un’interpreta­zione più vera a un falso storico”.

L’ultimo match Campione europeo dopo una formazione britannica, sfidò a Roma il milanese Bosisio (longilineo, flessuoso e biondo) e lo stracciò. Invano

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Anno VI dell’era fascista Leone Jacovacci a Roma nel 1928

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