Il Fatto Quotidiano

“Rompiamo i giocattoli Il nostro gesto politico”

- » GUIDO BIONDI » PASQUALE RINALDIS

Tanta strada hanno percorso i ragazzi bolognesi de Lo Stato Sociale: dai primi Ep autoprodot­ti – Welfare Pop e Amore ai tempi dell’Ikea – agli album Turisti della democrazia eL’Italia peggiora. Alberto Cazzola, Francesco Draicchio, Lodovico Guenzi, Alberto Guidetti e Enrico Roberto hanno esteso al concetto di “canzonette”– come loro stessi amano citare – un significat­o diverso, ironico, carico di spunti e riflession­i mai scontate e banali. E la formula vincente acquista ancora più spessore nei testi del nuovo album Amore lavoro e altri miti da sfatare, da oggi nei negozi e negli store digitali. La band è apprezzata soprattutt­o dal vivo e ha colleziona­to parecchi sold outin luoghi generalmen­te off-limits persino per le popstar nostrane; per la prima volta si esibiranno al Forum di Assago il 22 aprile, mentre presentera­nno il nuovo album negli store della Feltrinell­i di oltre dieci città.

L’INTERO canovaccio delle canzoni s’intreccia sulla perdita di significat­o di amore e lavoro, due parole di cui si abusa e il tentativo di ridare loro valore e identità. “Il disco parla di noi e di quello che accade in un mondo messo alla prova da derive autoritari­e che – racconta Lorenzo – poco si adattano al bisogno di umanità, all’interpreta­zione dell’intimità e delle relazioni, specchio e sintesi dei nostri pensieri. Vogliamo rompere i giocattoli, invitare altre persone alla festa, imbucarsi alle feste, regalare sorrisi e spunti di riflession­e, aiutarsi il più possibile e non rimanere mai soli”.

La traccia-chiave dell’album è 60 milioni di partiti: “Non sappiamo fare manifesti politici veri e propri e non abbiamo un piano quinquenna­le da proporre (anche se questo piano quinquenna­le non era del tutto una stupidaggi­ne). In questo orizzonte di angosce, collocamen­ti, precarietà, web che allontana dalla vita vera c’è qualcosa che ci accomuna con i nostri amici che vanno a vivere in campagna e se ne fottono di tutto. Ma noi non riusciamo a rinunciare alla società, alla nostra insofferen­za verso il sistema e il tentare di cambiarlo. Nel nostro caso sempliceme­nte facendo uscire la gente di casa, come primo gesto politico. E rinunciare alla costruzion­e cultural-sociale vuota, ritrovando­si nudi in

Esattament­e 50 anni fa nasceva la leggenda dei Pink Floyd, usciti dal cono d’ombra grazie alla loro prima hit intitolata Arnold Layne. A mezzo secolo di distanza, i Temples vorrebbero ripercorre­rne le gesta, dopo essere saliti alla ribalta nel 2014 con Sun Structures, disco con una copertina che citava nientemeno che Who’s Next degli Who e un sound che pareva uscito direttamen­te dagli anni 60. La storia, diceva il Filosofo, si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Ma dopo aver ascoltato il loro secondo album intitolato Volcano, si dissipa ogni dubbio e ti spieghi perché personaggi come Noel Gallagher e Johnny Marr si siano spesi nei loro confronti, con endorsemen­t a loro favore. Anche se in un verso di In My Pocket, 8ª traccia di Volcano, sembra essere celata una piccola confession­e: “Quando vivi all’interno di una replica/Puoi sentirti sicuro all’interno del posto in cui ti trovi”. Il gruppo, però, dimostra di volersi allontanar­e dal percorso intrapreso, e l’elettronic­a da semplice decorazion­e artificios­a qual era nel primo disco, qui diventa centrale e il risultato è uno psich-rock con synth e organi barocchi a dipingere paesaggi sonori evocativi. Da ascoltare Certainty e (I Want To Be Your) Mirror.

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