Il comizio di Renzi a Torino sembra scritto sei mesi fa
Resta bulimico: doveva parlare 10 minuti, arriva a 70. Ignora la sconfitta referendaria, ma poi ammette: “Il futuro non è più quello di una volta”
Dopo un’ora e dieci di intervento, Matteo Renzi chiama sul palco del Lingotto Maurizio Martina, il ministro d el l ’ Agricoltura, che corre con lui in ticket al congresso. Il tempo di una foto e i due spariscono. Insieme se ne vanno, come insieme erano arrivati, con tanto di selfie. Nel primo dei tre giorni torinesi che lanciano la campagna congressuale dell’ex premier, da ogni angolo, su ogni pannello, rimbalza lo slogan “Tornare a casa per ripartire insieme”. Ma ancora una volta “noi” lascia il posto a “io”, con Renzi sempre al centro della scena. Da programma avrebbe dovuto fare solo un saluto di 10 minuti e poi dare spazio a Martina. Programma cambiato, un lungo discorso scritto da 70 minuti.
“Strada facendo vedrai che non sarai più solo”. Dagli altoparlanti risuona la canzone di Claudio Baglioni. Più che una promessa, per l’ex segretario Pd una minaccia. “Do un appoggio a Renzi convinto ma non acritico”, dice il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, che arriva tra i primi insieme a Piero Fassino. Non c’è Veltroni, nonostante l’iniziativa sia un omaggio al suo Lingotto. In prima fila ci sono i deputati Emanuele Fiano e Ettore Rosato. E il direttore dell’U nità , Sergio Staino. Matteo Orfini e Fausto Raciti, gli ormai fedelissimi Giovani Turchi che a manifestazioni tipo la Leopolda non ci sono mai stati. Del “Giglio magico” si vede solo Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd. I ministri sono tutti al Cdm: arriveranno. “Eravamo preoccupati per le presenze - dice il fedelissimo Andrea Marcucci - invece la gente c’è”. L’età media è abbastanza alta, ma tant’è. E Matteo Ricci, vice presidente Pd: “Speriamo di ripartire, gli ultimi giorni non sono stati facili”. L’inchiesta Consip, certo.
IN UN CONTESTO che non è brillante, che trasuda più malinconia che entusiasmo, Renzi parla quasi come se gli ultimi tre mesi non ci fossero stati. E volutamente ignora anche Consip. Alla manifestazione di Rimini a gennaio sembrava un pugile suonato. Ora ha perso qualche chilo, è più in forma. “Il futuro non è più quello di una volta”, sembra l’ammissione più sincera sul dopo 4 dicembre. Per il resto, Renzi riprende da dove era rimasto. Da Palazzo Chigi.
Bersagli l’Unione Europea, i tecnocrati italiani e stranieri: “Ricordo premier tecnici che andavano a Bruxelles con la giustificazione in mano come a scuola. Forse hanno risollevato i conti ma hanno distrutto l’idea di Europa delle origini”. Un modo per rivendicare la sua politica. Nonostante le lettere arrivate da Bruxelles negli ultimi mesi e le difficoltà di Padoan e del governo. Oggi si vedrà come la mette il ministro dell’Economia al Lingotto. La proposta: “Dobbiamo scegliere il candidato presidente della Commissione, il P- se dovrà farlo con le primarie”. L’idea l’aveva già lanciata più di un anno fa: non se ne fece niente allora, non si farà oggi. D’altra parte Renzi parla quasi come se a Palazzo Chigi non ci fosse mai stato, come se l’occasione di governare non l’avesse mai avuta. Ora si dice “convintamente a fianco di Gentiloni”: se una correzione di rotta c’è, è nella consapevolezza che non ha la forza di far saltare il banco. Poi, il tentativo è di recuperare “l’identità di sinistra ”, riabilitandola parola“compagno ”. Nessun cenno - per ora - al “lavoro di cittadinanza”, sbandierato in maniera fumosa in queste settimane, ma critiche al reddito di cittadinanza.
INFINE LA DOPPIA veste psicologica con cui parla - premier che ha rimosso la sconfitta referendario e candidato segretario mai stato premier - produce due annunci: farà una scuola di formazione politica che sarà diretta dallo psicanalista Recalcati (modello Enrico Letta) e una piattaforma tecnologica intitolata a Bob Kennedy (un Rousseau alla Beppe Grillo, rivisitato).
Ringraziamenti a Tommaso Nannicini per aver cercato di mettere in piedi dei veri workshop al Lingotto. Sono 12, sono partiti ieri sera, chissà se diventeranno mai il primo germe di un programma dal basso. Renzi, dal palco, non scioglie l’ambiguità sul Pd, come “partito leggero” o“partito pesante”. Ma un punto saldo ce l’ha: “Il segretario sarà anche premier”, chiarisce e ribadisce. “L’ho trovato in forma. La stessa forma di prima del 4 dicembre”, la sintesi è di uno dei renziani della prima ora.