PD 2007-2017: DALL’INNOVAZIONE ALLA PROTEZIONE
Come regola generale, è giusto risalire alla fonte, alle primigenie sorgenti quando ci si propone un nuovo inizio. Lo fa anche Renzi, che pure esordì come rottamatore. Solo mi chiedo se il Lingotto – scelto da Veltroni come luogo simbolo del fordismo, nel quale disegnare il profilo di una sinistra moderna, riformista e liberale – sia un rimando azzeccato. A ben riflettere, già allora, nel 2007, non portò benissimo. Di lì a poco, concorse alla caduta del già vacillante governo Prodi II con l’annuncio dato da Veltroni della corsa solitaria del Pd, cui i partiti alleati che sostenevano Prodi reagirono staccandogli la spina. Più avanti condusse alla sconfitta strategica del 2008, quando il Cavaliere fece cappotto. Usa rivendicare il 33% del Pd veltroniano, pagato al prezzo della cancellazione degli alleati. Una rivendicazione contraddittoria da parte di un fiero bipolarista che dovrebbe misurare il risultato non già su qualche punto percentuale in più al proprio partito, ma sulla distanza mai così grande tra i due schieramenti.
Sin qui il passato del Lingotto. Ma ciò che più merita rimarcare è l’attuale distanza politica e culturale da quella congiuntura: non era deflagrata la crisi economica internazionale; l’Europa rappresentava un orizzonte attrattivo; non si era prodotta l’impennata migratoria e la domanda di sicurezza; do- minava una lettura della globalizzazione come risorsa e non come problema. In realtà, il Lingotto si situava già sul finire della stagione apertasi a metà Anni 90, quando prese corpo la suggestione della “terza via”, una sinistra di stampo liberale ingenuamente subalterna al mito della globalizzazione.
In quella temperie, la parola-chiave della nuova sinistra era “innovazione”, con il corredo di parole quali opportunità, merito, talento, soprattutto “riformismo”. Parola se non malata certo ambi- valente. Riformismo significa dare forma nuova ai rapporti sociali. Se di sinistra, tuttavia, dipende dalla direzione di quel cambiamento. Di sinistra, ammoniva Bobbio, è la politica mirata a un di più di uguaglianza. Nella introduzione a una riedizione del fortunato saggio D estra-Sinistra , Renzi rovesciava le priorità: sinistra è in primis cambiamento, non uguaglianza. Quasi che la direzione di esso sia secondaria. Una specie di preludio alla suggestione del “partito della nazione”, né di destra né di sinistra, un po’di destra un po’di sinistra. Rifiutandosi di “prendere parte”, per raccogliere consenso un po’ ovunque. Il “partito pigliatutti”, non nel senso positivo della politologia. Una estremizzazione sino allo snaturamento della voca- zione maggioritaria, in origine concepita comunque nel quadro di una chiara distinzione tra destra e sinistra. La Leopolda è stata un po’ come l’esasperazione della cifra del Lingotto veltroniano, una “sinistra da bere”, al modo della “Milano da bere” di craxiana memoria. Apprezzata e frequentata dalla borghesia, dai salotti buoni, dall’establishment. Se ieri la parola chiave era “innovazione”, oggi è semmai “pr ote zio ne”. Una domanda cui rispondere con strumenti nuovi, che non può essere disattesa né rilasciata alla destra.
Di più – per isolare la diversità della congiuntura politica – al Lingotto ancora vigeva il Porcellum, con i suoi macroscopici limiti, ma con effetti maggioritari.
Oggi difficilmente ci si discosterà da un impianto proporzionale, con ciò che ne deriva; i poli sono tre; il Pd sconta una scissione che, quali che siano le sue dimensioni, rappresenta il fallimento del progetto originario del Pd come partito di centrosinistra, “major party” posizionato al centro del centrosinistra con una vocazione coalizionale. Inclusivo verso il centro, ma anche verso sinistra. Difficile credere che chi ha condotto a questo esito possa essere protagonista di un rinascimento, ripartendo dal luogo simbolo del Lingotto, che appartiene a un’altra era e che forse segnò non l’apogeo del Pd ma l’inizio della sua “sottomissione” a paradigmi altrui.
RITORNO AL LINGOTTO L’ex fabbrica appartiene a un’altra era: segnò non l’apogeo del Pd, ma l’inizio della sua “sottomissione” a paradigmi degli altri