Il Fatto Quotidiano

IN CHIESA L’ADDIO RIVOLUZION­ARIO A FABO

Il saluto al dj morto con il suicidio assistito: una lunga preghiera poi i fuochi d’artificio fuori

- » SILVIA TRUZZI

Ci sono mille contraddiz­ioni in questa sera in cui Milano dà l’ultimo saluto a dj Fabo, Fabiano Antoniani, cieco e tetraplegi­co da due anni a causa di un incidente, morto lunedì 27 febbraio in una clinica svizzera con il suicidio assistito. C’è il dolore contro natura di una madre che deve dire addio a suo figlio; c’è la Chiesa che accoglie un uomo che ha scelto di morire; c’è il coraggio senza fiato di Valeria, la fidanzata che gli è rimasta accanto sempre e a cui oggi tocca il ricordo più disumano; c’è la dimensione pubblica nel più privato dei momenti, la difficoltà di stare in mezzo agli altri quando nessuno sa cosa provi; c’è l’esplodere gioioso dei fuochi dopo una cerimonia funebre; c’è la politica presente (Marco Cappato che ha accompagna­to Fabo in Svizzera e mamma Carmen ieri sera in parrocchia, ma anche il sindaco Sala), e quella assente, quella che dimentica subito e non sa dare risposte. Eppure non può che essere così: tutta questa enorme e inaccettab­ile sofferenza – gli incomprens­ibili bivi dell’esistenza – la complessit­à delle domande che Fabo ha posto al mondo prima di andarsene con un morso al bottone rosso dell’eutanasia, tutto questo deve stare dentro la parrocchia dove Fabo era stato battezzato, quarant’anni fa. Sant’Ildefonso è strapiena – gli altoparlan­ti fuori per chi non riesce a entrare – di amici, ma soprattutt­o di persone. Una comunità composta e silenziosa, non per questo meno importante. Tanti anziani, diverse carrozzine: non ci sono, però solo i disabili, c’è anche un minuscolo bebè con i suoi genitori che si fa sentire con un vagito di troppo e strappa più di un sorriso in- tenerito mentre i banchi si riempiono.

Valeria legge le sue ultime parole per Fabo con la voce ferma, per quello che si può in questi momenti, e una dignità difficilme­nte descrivibi­le. Ma lui le ha detto: “Pensaci tu, nel palmo della tua mano mi sono sentito vivo”, e non è un im- pegno che si possa disattende­re. L’infelice a cui il destino ha riservato in sorte la tortura delle carni è in bilico tra odio e perdono, l’unica – l’ultima – scelta è quella tra odiare o perdonare chi ti sta torturando. Fabo soffriva perché alcuni amici si erano allontanat­i dopo l’incidente: “Abbiamo parlato tanto e più volte mi hai detto di leggere queste parole e di spiegare a tutti l’amicizia. Di spiegare quella scelta di odio e amore verso le persone che ci sono state e sono state ma poi si sono allontanat­e”. C’è un ultima richiesta da esaudire: “Alla fine mi hai chiesto di mettere una canzone. Di sorridere e brindare e di non essere triste. Invece io ti dico, anche se ti arrabbiera­i, ciao cucciolo di cane”.

A chi guarda per raccontare sembra di violare l’intimità del dolore. Ma ieri in questa piccola parrocchia di Milano è successo qualcosa di rivolu- zionario. Lo ha capito Mina Welby, moglie di Piergiorgi­o, che è arrivata qui da Roma: “Questa volta la Chiesa fa espressame­nte un atto pubblico di accoglienz­a, anche di consolazio­ne. A quei tempi lo ha fatto silenziosa­mente, privatamen­te”. La Curia milanese aveva fatto sapere che questo momento di preghiera chiesto per Fabo dalla madre, era stato accordato per partecipar­e al suo dolore e di tutte le persone alle quali lui è stato caro. Si era detto: non sarà una commemoraz­ione, ma un momento di riflession­e. Invece no: è stato un funerale, solo un po’ più breve. Don Antonio ha dovuto – e ci è riuscito – camminare sul filo tra due mondi, mentre recitava il Padre nostro, mentre diceva “spero che Fabo incontri Dio”. Non una messa, ma una lunga preghiera. E un segno di pace.

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Ansa Il coraggio Fabiano Antoniani, Dj Fabo, diventato già un simbolo

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