Saipem: è guerra aperta tra Cao, Scaroni e Descalzi
Affari algerini Gli ex vertici e l’attuale ad Eni in “rotta di collisione” sugli incontri riservati e i rapporti con il mediatore della tangente
La Procura di Milano li chiama “incontri informali”. Intende incontri lontani da sedi istituzionali. La definizione, secondo l’accusa, rappresenta uno dei tasselli per comporre il complicato risiko di una maxi-tangente da 197 milioni di euro che Saipem, società controllata da Eni, tra il 2007 e 2009 avrebbe pagato (è la posizione della Procura) all’allora ministro algerino dell’Energia Chekib Khelil (non indagato) e a diversi altri soggetti, per ottenere otto commesse in due progetti petroliferi da 11 miliardi di dollari attivati in collaborazione con la Sonatrach, ente dello stesso Stato algerino. Incontri informali, ragionano i pm, durante i quali l’ex ad di Eni Paolo Scaroni, grazie al rapporto diretto con l’intermediario Farid Bedjaoui nonché factotum di Khelil, avrebbe favorito l’attività di corruzione internazionale. L’inchiesta è a dibattimento. Processo in corso, dunque.
QUALCOSA, PERÒ, emerge dalle centinaia di documenti messi agli atti. In particolare una guerra di tutti contro tutti tra i vertici di Eni o, come traduce il pm, “rotta di collisione”. Da un lato Scaroni, da ll’altro l’attuale ad Claudio Descalzi (indagato nel filone parallelo su una maxi-mazzetta da un miliardo per lo sfruttamento esplorativo di un fondo petrolifero in Nigeria) e l’ad di Saipem Stefano Cao (non indagato), il quale, all’epoca dei fatti, operava in Eni come numero due di Scaroni e che il prossimo lunedì in aula sarà ascoltato come testimone. Il punto sono gli incontri informali e la conoscenza di Bedjaoui, presunto collettore di mazzette attraverso il suo fiduciario Samry Ouried e la società Pearl Parteners ltd. De Scalzi e Cao negano entrambi gli aspetti: mai incontri informali, ma sempre istituzionali e nessuna conoscenza di Farid. Ecco, allora, il pasticcio di accuse e controaccu- se come emerge da quattro documenti messi agli atti dell'inchiesta.
Nel marzo del 2014, dopo oltre un anno dalla discovery dell’indagine, Stefano Cao viene sentito a sommarie informazioni. Cao spiega di aver incontrato il mi- nistro Khelil “perché faceva parte della mia attività”. Aggiunge: “Non avevamo intermediari”. E spiega: “Farid Bedjaoui non ricordo di averlo mai incontrato e di non averlo mai sentito in associazione con il ministro”. Su incontri riservati o “informali”, non ha dubbi: “Io ho avuto solo incontri formali e istituzionali (…) non vi è bisogno di un incontro informale”, tutto, “si organizza attraverso canali istituzionali secondo criteri di trasparenza”.
IL 10 LUGLIO 2015 Paolo Scaroni parla per la prima e unica volta in udienza preliminare. Sul punto viene stuzzicato prima dalla difesa e poi dall’accusa. “Allora – spiega – vogliamo dire che l’anomalia è il luogo in cui mi sono incontrato con il ministro? Fuori dal ministero? Potrei fare un elenco chilometrico di incontri che ho avuto con Cao e Descalzi fuori da ministeri con i ministri”. E poi c’è la conoscenza di Bedjaoui. Qui Scaroni riprende i verbali dello stesso Cao, nel punto in cui il pm, durante le sommarie informazioni, gli mostra una mail che Pietro Tali, ex ad di Saipem (imputato) manda a Scaroni per illustrargli i punti da affrontare nell’incontro con Farid. “Il signor Cao – dice Scaroni ai giudici – dimentica che questa mail ce l’aveva anche lui dal giorno stesso”. L’accusa, però, dice di non averla mai vista quella mail e spiega che “Cao non sapeva dell’esistenza fisica di Bedjaoui”. Insomma unico tema, due versioni differenti e un piccolo particolare: Cao non è mai stato sfiorato da ipotesi di reato, mentre Scaroni oggi è un imputato.
SCARONI, PERÒ, ribadisce il concetto anche davanti all’accusa e sostiene che il pm ha fatto la domanda sbagliata. Il quesito non doveva essere sui temi da affrontare con Farid, bensì sul fatto che quei temi lui, Cao, già li conosceva. “Io – dice – quando ho ricevuto la mail da Tali dell’incontro l’ho girata a Cao”. Naturalmente l’obiettivo di Scaroni è di vestire di lecito ciò che l’accusa invece definisce illecito. Il punto vero, al di là di questo e fissata l’ipotesi dei pm, è che, secondo Scaroni, di questi incontri fossero a conoscenza anche gli altri due vertici di Eni. Come Cao, però, anche Descalzi prosegue sul doppio binario. Il 27 ottobre 2014 il manager di stretta nomina renziana viene interrogato. Sugli incontri informali la sua posizione è netta: “Non ho memoria di incontri organizzati al di fuori dei rapporti tra le delegazioni uffi ciali”. Descalzi nega qualsiasi conoscenza con Bedjaoui, rimettendo così la patata bollente nelle mani di Scaroni. Il quale conferma che l’ad di Eni non poteva sapere ma solo perché “Descalzi, in quel momento, non era il capo”.