“Genere Verhoeven”, il cinema feroce che sa ancora graffiare
Il disturbante film dell’olandese che nessuno voleva produrre
Il sangue. “Lo voglio denso e tiepido”. È la rossa linfa vitale il vero protagonista di Elle, il provocatorio e folgorante film di Paul Verhoeven che nessuno negli Usa ha voluto produrre nè interpretare. “Troppo eversivo, non sono pronti, poi in questo periodo men che meno...”. Assicura Paul Verhoeven, magnifico 79enne da Amsterdam ma da anni “americano”, che negli ultimi tempi è tornato a girare il vecchio continente firmando una importante doppietta composta dall’autobiografico Black Book (2006) e appunto da Elle, la sua prima pellicola francese, in uscita italiana il prossimo 23 marzo.
UNA STORIA di stupro, violenza pura, vittime e carnefici mescolati ad arte fra sadomasochismo, parenticidio e, naturalmente, cinismo a volontà condito da pungente ironia e magistrale ambiguità. Ma anche il racconto di una donna dal Dna problematico, figlia e testimone di padre serial killer, a sua volta acida con ogni consanguineo, tragica personificazione di un Peccato Originale dal quale sembra impossibile ogni cesura.
Insomma, uno psico-thriller nero “fuori genere” o semplicemente dentro al “genere Verhoeven”, volendone coniare uno, che sa come disturbare donne, uomini e chiunque si pregi di una morale “edificante”.
Ispirato al romanzo Oh... di Philippe Djian e sceneggiato dallo statunitense David Birke, il film ha già trionfato dai Golden Globes ai César, passando per la candidatura agli Oscar da protagonista per una feroce Isabelle Huppert. “Isabelle non ha avuto alcuna reticenza a interpretare una donna che si fa complice del proprio stupratore, un comportamento totalmente contrario alla morale americana che, in questi casi prevede – al limite – la vendetta come atto dovuto di giustizia”, spiega il cineasta che ben conosce i protocolli della violenza fin dalla tenera età nella Amsterdam assediata dai nazisti.
È per esperienza e studi personali (sta lavorando a un nuovo film ambientato nella Germania alla vigilia del Terzo Reich) che Verhoeven non fatica a rintracciare parallelismi fra “quel” passato e il presente in cui versano gli Usa. “Donald Trump non è ancora il male assoluto ma è sulla buona strada per diventarlo a giudicare dalle folli decisioni promesse e mantenute fin dall’inizio del suo mandato. Scrutandolo negli occhi, anche dal filtro televisivo, ne vedo la malvagità, quel lato oscuro che non tutti gli esseri umani possiedono, con buona pace delle teorie junghiane”. Quindi se è ancora precoce allarmarsi, il regista di film fondativi (e disturbanti) dell’immaginario occidentale come Atto di forza e Basic Instinct non nasconde il timore che “siamo ai bordi di una catastrofe”. Da osservatore di formazione scientifica (ha un PhD in matematica e fisica) della bizzarra umanità, Paul Verhoeven nutre fertili rapporti con la religione cristiana, seppur da ateo dichiarato: dal proprio romanzo L’uomo Gesù. La storia vera di Gesù di Na- za ret , basato sul Vangelo di Marco, sta preparando un film (“che girerò in Francia”) e ha in tasca anche un progetto su “due suore nella Toscana medievale”, ma già in Elle ha trovato lo spazio adatto per inserire elementi sulla fede inserendo alcune immagini televisive di Papa Francesco. “È il miglior pontefice da centinaia di anni” dice convinto.
E CON LA MEDESIMA determinazione si dichiara scettico sulla capacità dell’essere umano di diventare “completamente sincero ”. Lo spunto arriva sempre da Elle, quando Michèle improvvisamente dichiara di aver deciso di smettere di mentire .“Sarebbe un ’ ottima soluzione per tirarci fuori da questo caos amorale, ma non credo sarà possibile finché non accadrà qualcosa che metterà l’umanità ai ferri corti con la propria disperazione, in altre parole, finchè si toccherà il fondo. Ma subito che avverrà prima di due o trecento anni, e noi non ne saremo testimoni!”. D’altra parte, è la sua protagonista a dar voce alla peggior contraddizione, dicendo al mondo e a se stessa la più grande delle bugie appena dopo essersi immolata a eterna sincerità.
Il rifiuto Usa
“È troppo eversivo per gli americani, non sono pronti, poi in questo periodo men che meno”