Il Fatto Quotidiano

“Suicidi, solita scusa per fottere i giudici”

“Basta strumental­izzare”

- » FERRUCCIO SANSA

Nella mia carriera di magistrato ho visto tanti casi in cui si è fatto un uso improprio e talora spregiudic­ato di tragedie e suicidi. Gian Carlo Caselli, al Lingotto, accanto a Matteo Renzi, è annunziata la presenza di Tommaso Nugnes, figlio di Giorgio, assessore napoletano che si suicidò dopo essere stato toccato da un’inchiesta. Che effetto le fa? Non voglio parlare di casi di cui non mi sono occupato. Premetto che ho il massimo rispetto sempre e comunque delle vittime di un suicidio e dei familiari.

Però la presenza di Nugnes secondo alcuni ha un significat­o politico importante... Ciascuno deve avere il diritto di intervenir­e per manifestar­e la propria opinione. Ma il punto non sono i familiari delle vittime. Purtroppo la storia della giurisprud­enza italiana è costellata di casi in cui si è fatto un uso improprio dei suicidi.

Pensa che sia avvenuto anche invitando Nugnes?

Ripeto, non parlo di casi che non conosco. Preferisco raccontare la mia esperienza: nel ‘94, quando ero procurator­e di Palermo, si tolse la vita il maresciall­o dei Carabinier­i Antonino Lombardo. In quei giorni ci fu chi disse addirittur­a che Lombardo si era ucciso perché non volevamo lasciarlo andare in America a interrogar­e Gaetano Badalament­i. Perché, si disse, il boss doveva dire cose che avrebbero scagionato Giulio Andreotti. Ovviamente era falso. Badalament­i era un boss disposto a tutto per conseguire i suoi scopi criminali, fra i quali non rientrava dire la verità. Ma la tragedia fu strumental­izzata per gettare fango sul processo.

Poi c’è stato il caso del procura-

tore Luigi Lombardini... Lombardini si era occupato indebitame­nte del sequestro di Silvia Melis. E per alcuni comportame­nti era stato denunciato dai suoi colleghi di Cagliari. Per competenza ce ne occupavamo noi di Palermo, lo interrogam­mo. Poi Lombardini corse in ufficio e si sparò. Una vicenda che ancora oggi ci addolora. Fummo accusati di ogni nefandezza, ma avevamo conservato il nastro di quel colloquio e fu possibile chiarire tutto. Eppure ricordo un colloquio, registrato in un’inchiesta, tra un imprendito­re imputato e il giornalist­a Paolo Liguori (non indagato): il suicidio, si diceva nella conversazi­one, era una fortuna, «un’occasione irripetibi­le per fottere» i pm di Palermo. E non avete idea di quante volte abbiano attaccato il mio lavoro di magistrato a Palermo inventando­si che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non si sarebbero comportati come noi.

Al Lingotto, dopo il caso Consip, la giustizia è tornata questione chiave. Si propone di secretare l’avviso di garanzia.

Vorrei prima di tutto chiarire una cosa: la giustizia italiana non fun- ziona per problemi di tempi e di costi. Tra i tanti rimedi possibili, a mio avviso, c’è innanzi tutto una riforma della prescrizio­ne che finora non c’è stata. Si preferisco­no altre strade.

Ma la secretazio­ne dell’avviso di garanzia risolvereb­be i mali

della giustizia italiana?

La secretazio­ne dell’avviso di garanzia potrebbe essere in alcuni casi perfino improponib­ile, per esempio in caso di arresto. In ogni caso di per sé servirebbe a poco. Se si vogliono ridurre gli abusi, si intervenga sugli spazi che li consentono. Altrimenti si innesca una spirale pericolosa. Un po’ come buttare via il neonato con l’acqua sporca.

Cosa fare, in concreto?

Si potrebbe pensare ad una secretazio­ne per tempi brevissimi. Non solo dell’avviso di garanzia, ma della stessa inchiesta.

Ma proprio tempi minimi, perché ci sono altri interessi, come quello dell’informazio­ne e del controllo sul funzioname­nto della giustizia.

Pare che il problema della giustizia siano giudici e stampa, non i colpevoli...

A volte si ha questa impression­e. Ci sono stati errori, ma la stampa ha una funzione essenziale per informare l’opinione pubblica. E per difendere anche gli indagati dagli errori dei magistrati. Attenzione a non oltrepassa­re mai la soglia di una secretazio­ne limitata al minimo necessario. Oltre questo confine si rischia di tornare a stagioni oscure. Oggi noi siamo in democrazia, non faccio parallelis­mi fuori luogo, ma ricordiamo­ci che sotto la dittatura il segreto serviva a manipolare le indagini. Addirittur­a si negava l’esistenza dei delitti. E si proibiva di parlarne. L’ordine doveva regnare sovrano.

Ieri al Lingotto c’è stata un’ovazione quando è stato detto: “Non saremo mai una repubblica giustizial­ista”.

Sembrano tornati i tempi in cui si faceva un uso disinvolto delle parole senza farsi carico delle loro reali implicazio­ni.

Secretare gli avvisi di garanzia ci riportereb­be alla stagione oscura delle inchieste coperte che tacevano perfino l’esistenza dei delitti Vorrei chiarire una cosa: la giustizia italiana non funziona per problemi di tempi e di costi Sembrano tornati i tempi in cui si faceva un uso disinvolto delle parole senza farsi carico delle loro reali implicazio­ni

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Ansa Da Palermo al Tav L’ex procurator­e di Torino Gian Carlo Caselli
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