Al Renzi II andrà peggio: sarà ostaggio delle correnti Dem
ORIZZONTI Addio all’uomo solo al comando Da Orfini a Orlando, dopo le primarie di aprile, il nuovo partito sarà pieno di azionisti e contraddizioni
Una volta doveva essere “liquido”, poi “solido”, il Pd. E ieri al Lingotto è diventato “trasversale”. Copyright Dario Franceschini. Motivo: non c’è più la destra, non c’è più la sinistra. Cioè, questo era Gaber, il ministro della Cultura dice che “il nuovo schema è populisti contro responsabili”. E poi chiarisce che lui “alla sinistra è molto affezionato”, che faceva parte della sinistra Dc di Zaccagnini.
Torino, giorno 2. Matteo Renzi sta nel “back stag e”, mentre manda in onda la sceneggiatura del “Noi”. Niente palco per lui e neanche la prima fila, magari a prendere appunti mentre gli altri parlano. Il “No i” nella variabile del Lingotto si declina a “si n istra” (vedi il ticket col ministro Maurizio Martina) e “in c am m in o”, immaginario scout rivisitato col logo del trolley presente su ogni pannello del padiglione.
SUL PALCO salgono tanti leader o aspiranti tali. Ognuno mette i suoi paletti. Ognuno rivendica il suo pezzettino di partito. Ognuno dice la sua, che magari è in contraddizione con quanto detto dagli altri. Nel frattempo Tommaso Nannicini presiede al lavoro dei workshop, pensati per scrivere un programma partecipato dal basso. Presenza massiccia, discussione accesa. “Ce la farete a far passare Renzi dall’io al noi?”. Nannicini sorride.
Il fiore all’occhiello del Pd di Renzi che si vuole plurale, ma non troppo, si chiama Martina. Posto d’onore, parla in chiusura della mattinata. Palesemente emozionato: “Io sono quello esuberante, l’altro è timido. Ma imparerà”, dice con una certa auto- ironia. “Abbiamo la responsabilità di non percorrere più l’idea della divisione a sinistra, del nemico vicino: così abbiamo regalato alla destra intere praterie”. Lui è quello che è rimasto. Applausi convinti.
Poi sul palco sale Emma Bonino, invitata proprio da Martina, e si scaglia contro la Bossi- Fini. Applausi convinti. Ma quanto può tenere posizioni così sull’i m mi g r azione, il Pd? Vincenzo De Luca, applauditissimo, spezza una lancia a favore di Salvini, contro cui Napoli sta manifestando. Poi Sergio Chiamparino chiarisce il suo appoggio “critico” a Renzi: “Dobbiamo costruire un partito non chiedendoci con chi stoma per cosa milito e a favore di chi”. L’ex premier resta dietro. Poi non resiste, fa capolino sul palco. Lo inquadrano le telecamere: qualche stretta di mano e se ne va. La tentazione è più forte dei buoni propositi.
La platea è fatta di tanti che renziani lo sono poco. “La parabola è in discesa”, dice un senatore. Non mancano le manovre sotto traccia: molti orlandiani vanno dicendo che se Renzi vince largamente, la- sceranno il Pd, ma in molti (compreso un sondaggio del Corriere) profetizzano la vittoria di misura.
CHE SIANO sfidanti o sostenitori, l’ex premier avrà parecchia gente a cui rendere conto e da mettere d’ accordo. E così Matteo Orfini, anche su suo mandato, si oppone alla parziale privatizzazione di Cassa depositi e prestiti, voluta da Pier Carlo Padoan. Il ministro dell’Economia interviene e se la cava con poco: “In questi mesi sono molto di moda scenari apocalittici sulla cosiddetta Ital- exit che mi fanno rabbrividire: non lasceremo che accada”. Ancora Orfini: il Pd non può allearsi con Ncd. Franceschini lascia intendere l’opposto.
Oggi arriverà al Lingotto Paolo Gentiloni, ma non parlerà dal palco. È col suo successore il rapporto a cui Renzi deve stare più attento: per ora vanno insieme, forse per necessità. In chiusura lo psicanalista Massimo Recalcati rivela il nome della scuola di formazione renziana: si chiamerà Pier Paolo Pasolini. Più che un mosaico pare un pastiche. Oggi l’ex premier conclude: passerà da “Io ci sono” a“Noi ci siamo” (ma con lui davanti però).
Sguardo a destra Franceschini detta le sue regole: “Né liquidi né solidi, noi dobbiamo essere trasversali”