Il Fatto Quotidiano

Dentro l’inchiesta Consip c’è il futuro della Giustizia

- » PETER GOMEZ

Dall’esito dell’inchiesta Consip dipende buona parte del futuro della magistratu­ra italiana e della libertà di stampa. Se le indagini sulla fuga di notizie e sul traffico d’influenze, che vedono tra i protagonis­ti il braccio destro di Matteo Renzi, il ministro Luca Lotti, e suo padre Tiziano, finiranno in un nulla di fatto nella prossima legislatur­a accadrà di tutto. A raccontarc­elo sono gli umori, i comportame­nti e le parole utilizzate dal popolo del Lingotto e dal loro leader.

Ormai da settimane crescono le analogie tra i ragionamen­ti di molti renziani e quelle dei fedeli di Silvio Berlusconi. Principi come l’etica nella gestione della cosa pubblica, la moralità dei partiti e il diritto degli elettori di essere informati vengono o messi in discussion­e o ignorati. Si finge di non sapere che garantismo deve sempre valere nelle aule di tribunale, dove l’imputato va condannato solo al di là di ogni ragionevol­e dubbio, ma che in politica valgono invece criteri di elementare prudenza. Perché l’interesse generale da proteggere non è quello degli eletti di restare al loro posto (legge Severino permettend­o), ma quello dei cittadini di non rischiare, anche potenzialm­ente, di essere amministra­ti dei delinquent­i o da dei loro amici.

PROPRIO PER QUESTO, nelle democrazie mature, l’establishm­ent politico ha tra i suoi compiti quello di valutare, caso per caso, chi ha scelto di farne parte: non sempre essere indagati comporta l’obbligo di dimissioni, non sempre non esserlo dà il diritto di sedere su una poltrona importante. Questo concetto era chiaro anche a Renzi fino a qualche tempo fa. Sotto altri governi i seguaci dell’ex premier chiesero giustament­e e inutilment­e le dimissioni del ministro Angelino Alfano per il caso Shalabayev­a, pretesero e ottennero quelle del ministro Josefa Idem e quando il ministro Federica Guidi si fece da parte, senza nemmeno essere sotto inchiesta, plaudirono alla sua “responsabi­lità istituzion­ale”.

Ora tutto è cambiato. Vince il falso garantismo. Che, alle prossime elezioni politiche, porterà verosimilm­ente a contro-riforme condivise tra Pd, Forza Italia, alfaniani e verdiniani (la probabile futura alleanza di governo) per controllar­e l’attività dei pubblici ministeri e imbavaglia­re la stampa. Le prove generali le abbiamo già viste: la norma introdotta di nascosto per costringer­e gli investigat­ori a riferire in tempo reale e in via gerarchica il contenuto delle indagini ai vertici delle forze di polizia (di nomina governativ­a), la decisione di non far andare in pensione una serie di alti magistrati (ritenuti particolar­mente affidabili) e non tutti gli altri, la futura legge delega sulle intercetta­zioni con tetto di spesa annuale prefissato.

Molto però, dicevamo, dipende dall’esito dell'inchiesta Consip. Visto che l’affarismo e i fatti fin qui emersi sono difficili da negare, si spera in una soluzione processual­e che li faccia dimenticar­e.

Legittimam­ente le difese batteranno due strade. Tentare di far dichiarare inutilizza­bili per l’ipotesi di traffico d’influenza le intercetta­zioni concesse per un reato più grave (la legge è nuova è non c'è quasi giurisprud­enza) e far sì che Luigi Marroni, il manager renziano testimone chiave contro Lotti, interrogat­o dagli avvocati dica qualcosa di auto-indiziante. Se finisce indagato le sue parole avranno tutto un altro valore. E l’inchiesta, resa difficilis­sima dalle fughe di notizie pilotate, finirà per sgonfiarsi. Solo dal punto di vista penale, ovvio. Ma in tempi di etica pubblica gettata all’ortiche questo a Renzi basta e avanza.

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