Lima, le “corna” e il sangue Così la mafia iniziò la guerra
12 marzo 1992 L’omicidio del ras Dc come “vendetta” per gli ergastoli del maxiprocesso e i “patti” non rispettati. Il panico dello Stato
È il 12 marzo 1992. Per i pm di Palermo è l’inizio dell’offensiva terroristico-mafiosa che si concluderà, un anno e mezzo dopo, con il fallito attentato all’Olimpico, ma è soprattutto il punto di partenza delle manovre che partoriranno la trattativa Stato- mafia. Commentando il delitto di Mondello, Giovanni Falcone lo definisce da subito “logico ”: la prima delle conseguenze del verdetto della Cassazione che il 30 gennaio ‘92 ha confermato le condanne del maxiprocesso, seppellendo sotto una montagna di ergastoli il gotha di Cosa nostra. Sarà lo stesso Riina a rivelare che la sua furia era indirizzata contro Lima, in quanto simbolo di quella Dc che non aveva mantenuto le promesse di impunità: “Questo Lima - spiega il boss nel 2013 al compagno d’aria Alberto Lorusso nel carcere di Opera - disse che se andava a Roma, Andreotti l’a vr eb be assicutato ( cacciato, ndr). Ma come? … E allora non ne parliamo più...”. È lo start alla carneficina che nei mesi suc- cessivi metterà il Paese a ferro e a fuoco, spianando la strada alla Seconda Repubblica. Le cronache degli ultimi numeri de L’Ora , quotidiano antimafia di Palermo, pubblicate tra il giorno del delitto Lima e quello della chiusura del giornale, l’ 8 maggio ’92, raccontano le vicende oggi analizzate nel processo sulla trattativa: a cominciare dall’allarme lanciato dal ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, che parlò di una “strategia eversiva” e fu bollato come “pataccaro” persino da Giulio Andreotti. L’ultimo direttore de L’Ora Vincenzo Vasile ha dichiarato: “Sono convinto che la chiusura de L’Ora sia legata alla trattativa: abbiamo chiuso poco prima della strage di Capaci e l’inizio di una stagione che forse, con quel giornale aperto, sarebbe stata diversa’’. È lo stesso Vasile a firmare in quei giorni un editoriale, scritto dopo un colloquio con Falcone, che attribuisce all’uccisione di Lima la valenza di una “strategia di tensione di alto profilo’’. Ma Falcone non è l’unico che riconosce il tam- tam di una guerra imminente. In quei primi mesi del ’92, la sentenza della Cassazione toglie il sonno ad un altro notabile siciliano che ha capito come gli ergastoli del maxi abbiano infranto il patto stabile tra mafia e politica: è Calogero Mannino, detto Lillo, ministro Dc. A febbraio, ricevendo a casa un mazzo di crisantemi, Mannino si convince di essere in cima alla black-list di Cosa nostra. E confida all’amico maresciallo Giuliano Guazzelli: “Ora o uccidono me o Lima’’.
L’intuizione si trasforma in angoscia dopo la morte dell’eurodeputato e in pani-
L’ORDINE DI RIINA: “ROMPIAMOLO” “Questo Lima disse che se andava a Roma Andreotti lo cacciava... Ma come? E allora non ne parliamo più”
LA “CATENA” NELLE ISTITUZIONI
I crisantemi per Mannino, Scotti aveva parlato di strategia eversiva e alla fine viene sostituito da Mancino