Oppio, i papaveri sono alti e il governo piccolino
Afghanistan Un euro e mezzo per una dose di eroina, i padri la danno ai figli per placare la fame, i tossici sono in aumento e la polizia si è arresa
Idona frosh, spacciatori al dettaglio in lingua farsi, girano come avvoltoi a caccia di nuovi compratori nell’acquitrino del canale di Herat. Meno di un euro e mezzo per una dose di eroina, non della più purissima certo. A decine, ogni giorno, si ritrovano in questo cunicolo infernale del ‘ buco’, nascosto al traffico di mezzi e persone, di fianco al viale principale della città ad ovest dell’Afg ha nistan.
L’acqua del canale arriva fino al polpaccio, tuttavia, la priorità non è evitare un raffreddore, ma riempirsi di oppio per estraniarsi da una vita dura. I tossici s’infilano lì sotto, tanti lo fanno alla luce del sole, appollaiati lungo i marciapiedi, col cappuccio dei giubbotti a coprirne il volto.
NON DEVONOtemere nulla là sotto, nessuno li disturberà: “Un tempo lo Stato combatteva lo spaccio e il consumo di eroina, oggi non più - racconta un attivista afghano - la polizia ha alzato bandiera bianca. Il fenomeno è fuori controllo. Pure le organizzazioni che si occupavano della piaga se ne sono andate; due si impegnavano nel recupero, mentre una Ong internazionale forniva siringhe nuove ai drogati. Il problema è che il grosso del traffico di droga è gestito dai potenti, a partire dal capo della shura (consiglio o consultazione) di Herat, Haji Kamran”.
A nord della città, a Kamar Kalak, esiste una sorta di zona eroine free, dove i tossici possono tranquillamente spararsi oppio in vena oppure fumarlo alla luce del sole. La provincia di Herat non è una zona di forte produzione del papavero; se ne coltiva un cinquantesimo di quanto avviene con regolarità nella valle dell’Helmand, il cuore dell’oppio e, assieme a Kandahar, il ‘brodo primordiale’ dei Talebani.
Eppure anche in questo lembo di terra al confine con Iran e Turkmenistan, in particolare nei distretti di Farah e Shindand, la produzione sta decollando. Nel 2016, è salita del 43% rispetto all’anno precedente. La coltivazione, oltre 200 mila ettari, si piazza al terzo posto della classifica degli ultimi quindici anni: nel 2000, prima della campagna militare della missione Isaf, di ettari se ne coltivavano appena 82 mila. In Afghanistan si produce il 90% dell’oppio mondiale. Più papaveri, più oppio e tossicodipendenti, dunque più traffico: “I sequestri in Afgha- nistan sono sull’ordine dei quintali, se non delle tonnellate - confida un funzionario del servizio antidroga - ma soprattutto si ripetono con una frequenza disarmante”.
“I VARCHI di frontiera - prosegue - con Iran e Pakistan sono sigillati per limitarne il transito, eppure di eroina ne passa lo stesso. I confini sono mobili, controllarli è impossibile. Una parte dell’eroina prodotta in Afghanistan rimane per uso domestico, il resto si ferma negli stati vicini oppure viaggia, in varie forme, verso l’Europa. L’Afghanistan, inoltre, si sta specializzando pure nella raffinazione delle sostanze. Qui, oltre a iniettarsela, l’eroina si fuma, per dipendenza e per disperazione. In Italia suonerà assurdo, eppure qui ci sono genitori che veicolano il fumo dell’eroina ai loro figli attra- verso la bocca per non far sentire loro i morsi della fame”. Negli anni scorsi, per abbattere la coltivazione del papavero, aveva suscitato consensi la presunta strategia degli afghani di sostituire l’oppio con lo zafferano.
Una campagna internazionale ne esaltava i risultati: “È una bufala - sostiene Abdul Saboor Rahmany, direttore del servizio agricoltura della provincia di Herat - le due colture non sono alternative, non c’entrano nulla una con l’altra. Quell’informazione era sbagliata. È vero, invece, che la qualità e il prezzo del nostro zafferano stanno calando rispetto, ad esempio, a quello iraniano. Assieme alla cooperazione italiana, stiamo lavorando per migliorare”. Coltivare oppio, in teoria, dovrebbe essere vietato dalla legge, nella pratica poi, in Afghanistan le cose funzionano in maniera diversa: “Qui a Gulran l’oppio non ha dato ottimi risultati, ma lo coltiviamo perché è più facile farlo rispetto ad altre colture” ammette Arbab Naser, contadino dell’omonimo distretto, mentre il capo villaggio, di Adraskan, Ahmad Gul Nurzai, è più netto: “Noi lo coltiveremmo senza problemi, ma non abbiamo l’acqua per i bisogni primari e tantomeno per l’oppio”.
SE PER LENIRE la fame dei figli si fa loro aspirare il fumo dell’oppio, significa che le piaghe dell’Afghanistan e dei suoi bambini sono anche povertà a malnutrizione. Sullo sfondo almeno quarant’anni di guerra e violenza. In alcuni dei distretti più poveri e remoti della provincia di Herat, come quelli di Gulran e Kuska Khuna due organizzazioni italiane, Gvc (Bologna) e Intersos, lavorano, in coordinamento con l’Aics - l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo - per limitare la piaga della malnutrizione. Progetti sul campo per contrastare, tra le altre cose, la mortalità infantile, tra le più alte al mondo. Serre, sicurezza per l’accesso al cibo, rilancio della piccola economia di sussistenza grazie all’animale più strategico del territorio. Racconta Paolo Panichella, capo progetto per Gvc: “Abbiamo consegnato due capre gravide, di razza Watani, autoctona e di altissima qualità, a 300 famiglie selezionate nei villaggi più poveri della zona di Herat. La priorità è stata data alle persone più in difficoltà. In Italia due capre possono essere nulla, qui rappresentano un punto di svolta. Solo una vale 100 euro. Assieme alle capre abbiamo consegnato 30 tonnellate di orzo”.“Per la malnutrizione - aggiunge Giorgio Cortassa di Intersos - abbiamo agito su più fronti, in zone remote e pericolose”.