“Porto a teatro i funerali dei miei due padri E forse anche il mio”
Figlio di Luciano, cresciuto con Vittorio Gassmann: “Sono un doppio orfano”
“Non è che gli leggesse le favole dei Grimm, I Tre porcellini o Du mb o… Macché, entrava nella cameretta con l’Odissea o l’Iliade e, mentre io me ne stavo con Paperoga, mio fratello Jacopo, già a due anni, mi parlava di Nausicaa…”.
Due padri per Emanuele. Ma niente arcobalenate. Ecco la storia: l’Uomo dalla bocca storta, ovvero Luciano Salce, e Vittorio Gassman, l’uomo alto più di tutti – bello più di tutti, colto più di tutti – sono amici inseparabili: “Aspetta: Luciano è di pari cultura con Vittorio, solo che non la frappone mai tra sé e il mondo…”.
Certo, Luciano. Ha scritto il più importante libro di storia per capire l’Italia e il fascismo. Ed è un film: “Il Fed e r al e ”, con Ugo Tognazzi…:“A proposito di federali, posso dire una cosa, anzi, posso prendere dei documenti?”.
Le carte, i fogli, le lettere. C’è il timbro dell’am ministrazione militare germanica, la grafia è quella del recluso Luciano Salce. L’8 settembre, nel giorno del tradimento – “Mai che si finisca una guerra con lo stesso alleato con cui la si comincia…” – Luciano Salce viene fatto prigioniero e portato a Dachau e poi in un altro campo tedesco fino alla fine del conflitto.
E la leggenda della sua detenzione nel campo di concentramento americano a Coltano, a Pisa, con Ezra Pound, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Enrico Maria Salerno?
Papà s’è fatto tutta la prigionia in Germania, non era nelle Brigate Nere o a Salò, no. Antonio Carioti, sul Corriere della Sera – documenti alla mano, questi – ha già smontato la mitologia. Ancora l’altro giorno, Paolo Mieli, in una recensione a un libro del Mulino ( contro cui farò azione civile) stava mettendo Luciano Salce in questo elenco, per fortuna Carioti l’ha fermato. Tutto nasce da Nino Tripodi e dal libro Intellettuali sotto due bandiere: esce Il Federale e i fascisti pensano che sia un altro voltagabbana.
Ma i fascisti amano quel film. La scena in cui il professore antifascista arrotola una sigaretta con le pagine del Leopardi pur di non fumare le sigarette regalategli dagli americani scatena ancora gli alalà!
Mai che si finisca una guerra con lo stesso alleato con cui s’è cominciata…
Sbaglio o c’è un certo cipiglio?
Emanuele Salce, classe 1966, sottotenente della Folgore; ho anche il brevetto di pilota, ho vinto il concorso Alitalia, supero tutti gli esami, poi magari non faccio niente, ma getto il cuore oltre l’ostacolo; vengo da una famiglia di militari, di mio posso dire che ho sempre sostenuto le battaglie di Marco Pannella ma se cercano il fascismo in casa mia posso ben raccontare di mio nonno Ettore D’Andrea, capitano dei bersaglieri, federale di Brescia e di Taranto, eroe della Campagna di Russia, da dove tornò portando con sé le salme di tantissimi suoi soldati morti nel ghiaccio. Lui sì, orgogliosamente fascista; papà no, solo un prigioniero!.
Dicevamo di Luciano. L’altro grande romanzo esistenziale d’Italia è opera sua, un’altra grande pellicola: “La Voglia Matta”, ancora con Ugo Tognazzi e Catherine Spaak. Ha anche dato – oltre ad altri film importanti e a spettacoli del varietà tivù – l’ultima tra le più smaglianti maschere della Commedia d e ll ’ Arte, nientemeno che Fantozzi, regista di Paolo Villaggio.
Luciano e Vittorio, dunque. I due padri di Emanuele. A un certo punto, Gassman e Diletta D’Andrea, attrice – la madre di Emanuele, nonché moglie di Salce – s’innamorano e se ne vanno via insieme...
E mamma mi porta con sé: ero solo un bambino di un anno e mezzo.
Esce di scena papà ed entra un altro padre.
E chi può mai fermare Gassman? Al cinema lui è Brancaleone, a teatro è il Riccardo III di Luca Ronconi, il mondo intero lo reclama: da Hollywood a Fidel Castro. Già a ve nt’anni Vittorio è Gassman. Appena diplomato all’Accademia è capo-comico e stipendia i suoi colleghi di corso… Neppure l’amicizia per Luciano lo ferma, litigheranno i due?
Troppo signori per scadere nella scazzottata o in una parola di troppo; mai una volta che mio papà dica qualcosa su Vittorio, o viceversa. Mai.
Papà Luciano e Vittorio sono come due Crono per Emanuele: nella diseducazione sentimentale e titanica se lo masticano e se lo sputacchiano. Emanuele, da bimbo diventa bambino, ragazzino e infine studente del Centro Sperimentale del Cinema: “I figli sono solo quei cosi che si fanno con le mogli cui poi si danno gli alimenti”. Luciano, il papà, se ne deve andare, mamma ama un altro
Lui sparì ma io non sapevo il perché!.
Nessuno ferma Vittorio, che invece arriva… Arriva e gli sto subito sul cazzo; e nessuno mi viene a salvare.
Un fine settimana sì e uno no, appare papà.
Vado con papà sabato e domenica ma non c’è verso di giocare. “Col pallone mi rompo i coglioni” dice. Andiamo in barca senza poter portare i miei amici. Luciano non vuole nessuno tra i piedi e resto sottocoperta a giocare a scopetta con Gaetano, il suo marinaio ischitano, mentre lui si dedica alle sue amichette.
Il resto della settimana, a casa con Gassman. Attorialmente autorevole, Vittorio non parla, intima. Anche per dire solo “questa casa non è un albergo” o “lavati le mani” o “stai compo- sto”, sciorina le sillabe e le vocali col suo nitore inarrivabile. Vivevo la dizione come altri mangiavano la Nutella. Credevo che si dovesse parlare così, sempre far sentire le finali, ma fuori casa mi facevano le pernacchie, e così mi sono ridotto al mumble mumble, al borbottio afono, alla greve cadenza romana…
Un trauma.
Un trauma alla glottide. Vittorio, un gigante, si mette sul mio stesso piano, quello di un bambino di sei anni. “Non hai una conversazione interessante” mi dice, “ne converr ai ? ” E mi lascia ai vicini, chiedendo loro la cortesia di accompagnarmi a scuola.
Nel libro Un grande avve
nire dietro le spalle, Gassman dedica una pagina struggente a Emanuele.
Venne a chiedermi scusa: voleva il mio perdono, ma io e lui abbiamo trascorso insie-
me un lungo pezzo di vita che la sua timidezza unita alla mia si sono comunque fuse in un colloquio costante. Se lo cerco dentro di me, Vittorio, io lo trovo.
Un caso di discendenza artistica unico, quello di Emanuele Salce. Giuliano Compagno, filosofo, amico e sodale artistico – ha scritto Ehi Giò, un’opera musicale per il Teatro Lirico sperimentale di Spoleto, dove Emanuele interpreta Gioacchino Rossini – spiega che in quest’uomo c’è una doppia eredità: “Quella post-flaianea di Luciano mescolata all’arte universale di Vittorio”.
Più che un personaggio in cerca d’autore, Emanuele è in cerca di due padri. Fabbrica questa ingombrante assenza sulla propria carne e nello spettacolo, di certo, si fa carico di quella doppia vena: “La commedia di oggi è tutto il
Sto con lui i weekend, ma non c’è verso di giocare: ‘Col pallone mi rompo i coglioni’. E Andiamo in barca senza i miei amici
IL PAPÀ NATURALE Avevo sei anni e mi dice: ‘Non hai una conversazione interessante, ne converrai’ E mi lascia da solo, dai vicini
IL GENITORE PUTATIVO
contrario del cinema dei miei padri. Massimiliano Bruno – con Beata Ignoran
za, dove pure ci sono Marco Giallini e Alessandro Gassman, il mio fratellastro – è forse nel solco di quella storia? Mah! Lo stesso Checcco Zalone: è perfetto in tivù ma nei suoi film pretende un ruolo da maschera che non ha ancora maturato. Q ue ll ’ Alessandro Siani, mah! E Carlo Verdone ormai stanca. Tutta questa comicità romana, così sottolineata, non fa che valorizzare il peggio: barzellette, barzellette, barzellette”.
Sulla linea di Paolo Mereghetti, quindi: la commedia italiana non c’è più? Eppure Marco Giusti, su Dagospia, cita l’esempio di Salvo Ficarra & Valentino Picone.
Ecco, sì. Loro due non sono compiaciuti. Hanno una condotta. Hanno l’asciuttezza propria della commedia. La commedia dolorosissima, quindi. Ed eccoli i due, il papà e il padre putativo. In un ampio cassetto della biblioteca di casa – è quella dove è morto Luciano – sono impilati i nastri delle segreterie telefoniche. Ci sono le voci dei due: “Ciao Emanuele, sono papà, arrivo a Roma stasera, non so se riusciamo a vederci”. È Luciano.
“Ciao Emanuele, sono Vittorio, io e mamma partiamo, non so se riusciamo a vederci stasera”. È Gassman.
Capita di risentirli?
Mai, a eccezione di quelli che ascolto ogni sera col pubblico, a teatro, in Mumble Mumble, ovvero confessioni di un orfa
no d’arte, lo spettacolo ancora in scena al Teatro Tordinona a Roma – a 500 metri dalla casa del mio fratellastro – e che ho scritto con Andrea Pergolari (co-autore anche del me- ra- vi- glio- so documentario su Luciano Salce L’Uomo dalla bocca storta N.d.R)”.
Chi vede “Mumble Mumble”, lo rivede. A Palermo, al
Teatro Biondo, 800 persone si sono alzate in piedi con una commovente standing ova
tion: “Questo spettacolo nasce quasi per caso nel 2009. Lo chiedono a Milano, al Teatro di Verdura, ovvero la Biblioteca di via Senato di Marcello Dell’Utri. Sapevano di mie letture tipo la Mite di Dostoevskij. Mi chiama la segreteria di Dell’Utri, mi comunica un cachet hollywoodiano e siccome è un chiaro segno del volermi bene penso di dare loro qualcosa di profondamente mio. E propongo allora questo spettacolo. Di cosa si tratta?, domanda la signora, e io rispondo: “Ho incontrato un’australiana e mi sono cacato addosso”. Detta così?
È così.
E si va in scena.
No, non si va in scena. Nel teatro di Dell’Utri una cosa così non si fa, dice la signora. Dell’Utri è un uomo molto
spiritoso, sarà stata una pruderie della segretaria.
Ne sono certo, è spiritoso, comunque la dottoressa dice no e allora il mio produttore, per consolarmi del cachet perso, mi dirotta al Let, Liberi Esperimenti Teatrali, e così nasce lo spettacolo.
L’orfano d’arte confessa dunque questo disagio di sfintere?
C’è il racconto di tre funerali: quello di papà, quello di Gassman e quello mio, metaforico.
E la metafora come si coglie?
Trovo la donna della mia vita ma proprio nell’esatto istan- te della felicità si scatena un idrogetto, due litri di diarrea; nel cubicolo in cui mi nascondo, voglio morire.
Mumble comincia con il funerale di Luciano Salce.
Metto insieme i pezzi di memoria di una segreteria telefonica. Il 23 dicembre del 1989, ubriaco, mi butto a letto a dormire. La notte è un continuo squillare del telefono. È un incubo. Mi rigiro tra le lenzuola e non rispondo fino a quando prendo la cornetta e sento un amico di famiglia, Franco Calderoni: non pensavo di trovarti a casa, dice.
Senza capire nulla.
Nulla. La segreteria telefonica lampeggia e schiaccio il tasto d’ascolto:
so’ Iolanda, ‘a infermiera de su padre, me dispiace de dillo così ma er dottore è morto. Dovrebbi veni’ qua, ce so' i parenti, er cassamortaro. Così?
Vengo a sapere di mio padre così. D’improvviso, il grande muro che ci teneva lontani crolla: in quel momento io e Luciano diventiamo una cosa sola.
La sbornia svanisce.
La lucidità me la faccio veni- re e chiamo una tipa di cui credevo di essere innamorato solo perché non me la dava. Carogna come sono, approfitto del lutto per commuoverla – sperando me la dia – e le chiedo di venire per stare con me, per sostenermi. Arriva dopo un’ora e mezzo ma abita vicino, non so perché ci metta tanto tempo.
Lei arriva.
Provo a farmela dare sul momento, non me la dà lo stesso e con lei corro a casa di papà, che è questa casa, dove vengo travolto da facce di zii, cugini, amanti di papà e parenti mai conosciuti. L’a d d et t o delle pompe funebri mi viene incontro e mi spiega che il vestito con cui è stata composta la salma di mio padre non va, “je fa difetto”.
E sua madre, arriva?
Mamma non c’è. È all’Avana con Vittorio. Ospiti in una villa cubana su una scogliere. Senza telefono. È anche domenica e all’Ambasciata di Cuba, a Roma, c’è solo un inserviente con cui non ci capiamo. Quando finalmente mamma viene raggiunta dal console italiano può tornare solo perché Fidel Castro in persona – in aeroporto – fa scendere due passeggeri dall’areo in partenza per Roma e fa sedere lei e Vittorio.
Potenza del carisma.
Al funerale, l’epicedio per mio padre lo tiene Gassman – il più grande oratore funebre di tutti i tempi – e quando sale sul pulpito lui, sparisce pure il prete. Il rito è lui.
Poi c’è il funerale di Vittorio Gassman.
Dove però viene a mancare proprio un’orazione all’a ltezza di Vittorio. Accanto alla sua bara ci sono ministri, capi di governo, cardinali, scrittori, autorità. Io sono più grande e mi stringo forte a mio fratello Jacopo, che tra i figli di Vittorio è quello che più di ogni altro lo fa rivivere. Con lui affronto questo grande dolore.
In casa di Emanuele Salce, tra le tante e belle foto (molte delle quali con lui fiero col basco da parà), nel largo e basso table book del salone ce n’è una incorniciata dove si vede Luciano Salce raggiante di felicità con un ragazzino:“Sono
io”. La prende in mano e la gira. È una cornice doppia. Sul retro, o fronte che sia, dipende dalla prospettiva, si vede Vittorio Gassman mentre bacia la testa capelluta di un ragazzino: “Sono io”.
Una sempre diversa felice infelicità quella del figlio di due padri:
“Quando è morto Vittorio, ho partecipato al necrologio vergato dall’intera famiglia”.
E quando è morto Luciano?
Un necrologio scritto da me, voluto da me, solo per me.
Se lo ricorda ancora?
A papà, quel fortissimo abbraccio che non ci siamo mai dati.
Lo spettacolo Le mie esequie metaforiche: trovo la donna della mia vita ma accade una cosa troppo imbarazzante