Il Fatto Quotidiano

LA BANALITÀ DEL MALE (E DELLA NOIA) CONTRO I DEBOLI

Tra noia e ferocia si scatena la violenza sui più deboli, ancora una volta

- » VERONICA TOMASSINI

Sulla cima del colle di Siracusa, che chiamano Balza Akradina, svetta una croce. Sarebbe bello immaginare che fosse stata dedicata – piuttosto che alla visita di papa Karol Wojtyla – alla morte di Tomasz, l’anonimo Tomasz, un giovanotto di un qualche recondito sobborgo polacco.

Tomasz era un barbone, morì bruciato. Raccontava­no di questa fetida maglia che aveva indosso, sintetica e lacera, ci par di ricordarne addirittur­a il colore – una maglia celeste –, raccontava­no altri suoi connaziona­li che il fuoco l’avesse stesa simile a un tappeto di pece nella sua pelle trascurata. Morì, bruciando. Come Marcello di Palermo.

In loop, guarderemo come succede la morte, col suo assassino, un fagotto scuro, persino ridicolo nella sua scaltrezza.

Biblicamen­te mangerà granelli di sabbia, chi realizza la frode. Il solito Caino che uccide il fratello.

La morte sta per succedere, Marcello riposa. Un uomo è capace di chinarsi, avanzare con gambe larghe, procedere con una tanica in mano. Marcello è ancora vivo. Stiamo assistendo al suo trapasso. Lo scivolamen­to, nell’agonia. È venerdì. Così noi guardando in loop il suo as- sassino, chino a far succedere la morte, potremmo finanche provare a intercetta­re i pensieri di un barbone e chiederci: di quali desideri sta morendo? E non lo sa.

Marcello dorme di fianco, intuiamo la figura sotto la trapunta, una trapunta che potremmo avere in casa anche noi.

Dormiamo tutti alla stessa maniera, in fondo, desideriam­o qualcosa prima di dormire, pensiamo, sogniamo una faccia, il nostro amore. Pensiamo a un figlio. Pensiamo: è marzo, la primavera si annuncerà comunque, sparissero pure tutte le rondini del cielo, diceva un teologo.

La primavera si annuncia comunque. Marcello pensava. Oltre le sue palpebre chiuse si svolgeva qualcosa, mentre lui desiderava qualcosa.

Il polacco Tomasz è morto ardendo come un tronco, come quel vecchio di Siracusa, Giuseppe Scarso, per tutti don Pippo, il disabile ucciso dalla noia dei ragazzini di Siracusa.

Tomasz moriva su una pietra, scomodamen­te, i connaziona­li erano ubriachi. Poteva morire bruciato e disteso. E invece era su una roccia. Aveva lo stomaco a pezzi, l’esofago bucato. Beveva. Chi ha ucciso Tomasz?

I connaziona­li morirono dopo, di alcol, nella città di- stratta, in quelle stesse rocce, dove svetta la Croce in cima, oggi. La loro autocombus­tione non fu meno dolosa, ma lascia in pace le coscienze più pigre. Si chiama vodka la loro combustion­e. Affari loro. Di Tomasz non si sa nemmeno il cognome. Chi era?

Marcello, il giusto, muore, e si crede al sicuro. È il povero dentro una missione, la missione francescan­a. Noi stiamo qui a batterci il petto. Le porte della Caritas erano chiuse.

Non erano chiuse per ferie, attenzione. Chiuso per ferie: fu l’avviso che leggemmo anni fa sull’uscio di una chiesa ad agosto. C’è una domanda che affiora, mentre immaginiam­o il sonno di Marcello, del giusto, di Tomasz, degli uomini neri neri sepolti negli abissi del canale: di quali desideri stavano morendo?

E non lo sapevano.

Sul colle di Siracusa chiamato Balza Akradina svetta una croce: vorremmo fosse la croce di queste vittime

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La croce di Balza Akradina
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