Ieri “giustizialista” con gli altri, oggi difensore dei suoi
Da premier e anche prima pretese l’addio di vari ministri, anche non indagati
Il garantismo, o presunto tale, può anche essere un vestito. Da indossare a seconda della stagione politica. E a Matteo Renzi, apostolo della rottamazione, cambiare piace.
Per esempio, già da aspirante segretario del Pd invocava dimissioni per i ministri di Enrico Letta: magari neppure indagati, però impelagati in casi politicamente scomodi.
E PARE UN ALTRO Matteo, rispetto a quello ombroso e tanto garantista delle ultime settimane, in cui il caso Consip ha mietuto un avviso di garanzia per Luca Lotti, renziano prima che ministro. Anzi, dal Lingotto Renzi ha ringhiato contro “chi ha confuso la giustizia con il giustizialismo”. E non una parola sul Lotti indagato. Eppure c’era un tempo in cui il commentava con l’accetta. E- ra l’autunno del 2013, quando il Renzi non ancora segretario e non ancora premier seminò battaglia sul caso dell’allora ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, accusata di essersi interessata per la scarcerazione di Giulia Maria Ligresti, figlia del finanziere Salvatore, afflitta da problemi di salute. Cancellieri conosceva bene i Ligresti (il figlio era stato direttore generale della loro compagnia assi- curativa, la Fonsai).
Insomma, il problema era di opportunità politica, non certo giudiziario. E Renzi tuonò: “Avrebbe fatto meglio a fare un passo indietro, ed è stato un errore non chiederle le dimissioni” disse ai primi di novembre. E pochi giorni dopo ribadiva: “Non è un problema giudiziario, è peggio, è un problema politico”. Aperto, va ricordato, dalla pub- blicazione di intercettazioni che raccontavano dell’interessamento del ministro. Proprio quello strumento che ora un governo di renziani vorrebbe limitare (silenziare?). Ma in quel novembre 2013 Renzi era di un altro avviso. Come Maria Elena Boschi, secca a L’aria che tira: “Ritengo che se non dovessero arrivare le dimissioni del ministro Cancellieri il Pd debba appoggiare la mozione di sfiducia presentata da alcuni esponenti del partito”. Del resto era sempre il 2013, quando Renzi invocò l’addio anche per il ministro dell’Interno Angelino Alfano, reo del disastroso caso Shalabayeva, la donna kazaka che nell’estate di quattro anni fa venne illegittimamente estradata dalla polizia italiana in Kazakistan. “Se Alfano sapeva ha mentito e questo è un piccolo problema, se non sapeva è anche peggio” riassunse il buon Matteo, soffiando per giorni contro il ministro. Ma il Pd respinse la mozione di sfiducia. E l’ anno dopo il Renzi neo-premier confermò Alfano al Viminale, perché Palazzo Chigi val bene un po’ di oblio. Ma si può tornare anche al gennaio 2014, quando il Fatto raccontò di un altro ministro di Letta, Nunzia De Girolamo, che ai dirigenti dell’Asl di Be-
C’era una volta Rolex regalati, Kazakistan, Ligresti, “stronzi comando io” e altre storie
nevento intimava: “Stronzi, qui in città comando io”.
DE GIROLAMOnon era ancora indagata. Ma la vicenda (da cui la forzista è uscita con un’archiviazione nel gennaio scorso) provocò un putiferio. E Renzi, anche in questo caso per nulla sordo alle intercettazioni, precisò: “Vedremo quello che deciderà Letta sulla De Girolamo, certo Josefa Idem ha dimostrato altro stile”. E la Idem era l’allora ministro allo Sport, dimessasi per un’altra vicenda fatta emergere da ilfattoquotidiano.it, relativa a tasse non pagate su una seconda casa. Alla fine lasciò anche De Girolamo, furibonda con Letta e Renzi: “Mi hanno ab-