Il Fatto Quotidiano

“La dipendenza da web una vera piaga sociale”

- » PAOLO DIMALIO

Isocial rilasciano dopamina, come l’alcool, il fumo, le scommesse: perciò esistono limiti di età per alcool, fumo e scomme sse”. Simon Sinek, antroplogo, ha sbancato il web con un’invettiva contro il web: più di 6 milioni di visualizza­zione e 3 mila commenti su YouTube. Niente gattini, solo un uomo che ragiona per 13 minuti sui rischi dell’abuso di internet. Qualcuno si è spaventato. “Questo è l’ult imo commento prima di eliminare definitiva­mente l’app di Facebook dal mio cellulare”, scrive Natalia Mossi, studentess­a di venticinqu­e anni, in calce al video su Facebook. Se le chiedi perché ha rinunciato ai social sullo smartphone, Natalia non ha dubbi: “Sono diventati un’enorme fonte di distrazion­e. Controllar­e notifiche e news sul telefono è un’ossessione costante, per quasi tutte le persone della mia età”.

SECONDO la società statuniten­se Dscout’s, in media tocchiamo lo schermo del telefono 2.617 volte al giorno. Uno su dieci lo guarda in piena notte. Allo smartphone dedichiamo 5 ore al giorno. Nemmeno al volante ci rinunciamo. Secondo l’Istat, 4 incidenti gravi su 5 sono dovuti al telefono: i morti su strada sono tornati a crescere nel 2015, dopo tre lustri.

Tonino Cantelmi, psichiatra, presiede l’unica cattedra di cyberpsico­logia in Italia: “Andiamo verso una colossale dipendenza da internet. Alcuni esagerano, perdendo la vita. Ma la verità è che tutti stiamo entrando nel tunnel”. Al Molinette di Torino, Cantelmi dirige il primo centro terapeutic­o per le dipendenze da internet: “Ho conosciuto un pa- ziente, sui 40 anni, malato di Tinder, il sito di appuntamen­ti. Ne combinava decine, centinaia con l’aiuto di Whatsapp. Era un lavoro, in ufficio era un disastro, ora è separato”.

Il catalogo delle dipendenze è vasto. “Alcuni hanno la compulsion­e delle compere. Spendono una fortuna su Amazon, Zalando o eBay”, racconta Giammarco Simoncini, 28 anni, laurea in psicologia con una tesi sulla dipendenza da Facebook. Dopo un pomeriggio in biblioteca, tempo fa, Simoncini torna a casa col pol- lice destro indolenzit­o. “Avevo alternato venti minuti sui libri e venti al telefono, come il 90% degli studenti. Il mal di pollice mi ha ricordato che la dipendenza è in agguato”.

A febbraio, ad Empoli, Giammarco ha aperto un punto di ascolto per i ragazzi che abusano di internet: “Alcuni finivano col viagra, dopo aver digerito tonnellate di porno online. La prima volta che andavano con una donna vera fallivano e pretendeva­no la pillola blu”. Simoncini segue due ragazzi: la rete non li ha imbrigliat­i, ma il rischio c’è.

Non basta contare le ore online, l’abuso non si misura col cronometro. La prova è la solitudine. “Se rifiutano compagnia e dicono ‘con amici e ragazze riesco a parlare solo online’, allora hanno passato il s eg no ”. Tecnicamen­te, si chiama ritiro sociale, quando i ragazzi si chiudono in casa. A quel punto, si possono solo curare le ferite, con un percorso lungo e doloroso. Perciò Simoncini punta sulla prevenzion­e. L’importante è che i genitori colgano i sintomi sul nascere.

CLAUDIO, 21 ANNI, è stato fortunato. Per due anni ha vestito i panni dell’arciere nel mondo fantasy di Dofus, smarrendo la vita. È tornato in sella grazie ai genitori e alla terapia di gruppo. “Giocavo anche di notte, fino a 18 ore al giorno, se smettevo era per parlare di Dofus”. Ricordando l’euforia dei tempi, in seconda e terza media, la voce di Claudio sale di tono: “Giocavamo in gruppo e ci sentivamo speciali. Era un’emozione fortissima. Avevamo obiettivi e strategie comuni, un ruolo e un compito ciascuno. Io scagliavo frecce magiche o ghiacciate: facevo sempre la mossa giusta. Mi sentivo utile e importante. L’unione mentale era incredibil­e, non desideravo altro: a malincuore, ammetto che le relazioni umane non mi interessav­ano”. Staccare la spina? Inutile: “Volevo picchiare e spaccare tutto, ho rotto tante di quelle cose”. Finite le medie, Claudio va in vacanza coi genitori, senza computer. Capisce di avere un problema e accetta di affrontarl­o con un medico. Ma l’impatto con il liceo è durissimo: “Mentalment­e ero piccolo, sentivo che mi mancavano due anni di crescita”. Col tempo, stringe amicizie e trova una ragazza, la prima: “Con lei ho scoperto la bellezza della complicità umana, una gioia ignota. La sfida era molto più ardua, non potevo resettare le mie mosse”. Oggi Claudio studia grafica e guarda i social con distacco: “Molti amici ne abusano. Li guardo in viso, quella luminosità dello schermo che si riflette, il sorriso ansiogeno mentre scorrono la bacheca, vedo quel fuoco nei loro occhi e mi vengono i brividi. Ora voglio emozioni il più reali possibile”. Se gli chiedi dov’è il discrimine tra l’uso e l’abuso, si ferma un istante: “Il confine lo superi quando smetti di pensare che ci sia”.

LA PAZIENZA dei genitori ha salvato Claudio. Spesso, l’epilogo è diverso. “Gran parte dei millennial­s sono cresciuti tra Teletubbie­s, tablet e schermi digitali. I genitori usano la tecnologia come baby sitter: la loro assenza è un problema su larga scala”. Federico Tonioni, psichiatra, dirige il centro terapeutic­o per le dipendenze da Internet al Gemelli di Roma. Cantelmi è d’accordo con lui: “Io li chiamo adulti da aperitivo o adultiscen­ti: arrivano a 40 anni come adolescent­i. Sono loro i più esposti alle dipendenze da internet. I ragazzi cercano un adulto solido, ma non lo trovano quasi mai”.

Il risultato? Tanti giovani non sanno affrontare le emozioni. “Quando un bimbo fa un gesto nuovo, come il primo passo, cerca d’istinto gli occhi dei genitori, in cerca di biasimo o conferma – spiega Tonioni –. Chiedono sempre, ‘mamma mi guardi?’. Così imparano ad emozionars­i”. Se gli adulti hanno occhi solo per lo smartphone, se ad accudire i figli è la tecnologia, i turbamenti dell’animo restano un mondo ignoto. “Siamo pieni di ragazzini arrabbiati che abusano dei giochi ‘sparatutto’ - continua Tonioni -. Per fortuna, altrimenti esplodereb­bero nella violenza”. Se temi le emozioni, il web diventa uno scudo. “I giovani in cura sono così abituati ai monitor da non riuscire a guardarsi negli occhi. Quando parlano in webcam, invece, nemmeno arrossisco­no”. Su internet, le emozioni si vivono a distanza. Puoi “resettare le tue mosse”, se si mette male. Grazie ai social misuri la popolarità, crei la tua identità, sfogli un menù infinito di relazioni senza rischio di intimità. C’è un prezzo da pagare, secondo Tonioni: “I ragazzi non reggono l’attesa e la solitudine”. Nel tempo vuoto esplorano Facebook invece del loro mondo interiore; la concentraz­ione dura l’intervallo tra una notifica e l’altra. Al trillo dello smartphone, se non possiamo controllar­e, scatta l’ossessione: “C hi ss à cosa mi sto perdendo?”. Non è una richiesta di amicizia. Secondo alcuni, stiamo smarrendo emozioni e pensiero profondo. Cosa resta dell’essere umano?

TORINO, OSPEDALE MOLINETTE Cantelmi dirige il primo centro terapeutic­o in Italia: “È un fenomeno colossale che sta coinvolgen­do tutti”

CLAUDIO, 21 ANNI

“Ero l’arciere in un gioco di ruolo e avevo perso ogni contatto con la realtà, non avevo più relazioni umane”

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Ansa A testa bassa Secondo Tonioni, psichiatra del Gemelli di Roma, “i giovani in cura sono così abituati ai monitor da non riuscire a guardarsi negli occhi”
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