Il Fatto Quotidiano

Il primo museo dello Stato che non esiste

In esilio La collezione di oltre 100 opere sarà trasformat­a nella prima mostra nazionale di arte contempora­nea: un giorno aprirà a Gerusalemm­e, per ora la ospita Parigi

- » LUANA DE MICCO

Per ora è un museo in esilio che confida sulla solidariet­à degli artisti di tutto il mondo. Ma un giorno il Museo nazionale di arte contempora­nea di Palestina, che non ha ancora né un tetto né pareti, ma conta già un centinaio di opere, aprirà le porte al pubblico, tra cinque, dieci anni, forse venti, chissà. Ma sarà a Gerusalemm­e Est e da nessun’altra parte: “Perché non dovremmo essere ambiziosi? Questo museo è una sfida sul futuro. Capisco che qui l’idea di base del nostro progetto possa sembrare esplosiva: ci battiamo per avere anche noi delle giornate banali, come ce l’hanno tutti. E portare i nostri figli a visitare un museo fa parte di una vita normale”.

ELIAS SANBAR, poeta, scrittore e traduttore, nato a Haifa nel 1947, vive in esilio praticamen­te da sempre, per forza prima (la sua famiglia fuggì in Libano nel 1948 dopo la creazione dello Stato d’Israele), per scelta poi.

È anche un sognatore, ma un sognatore lungimiran­te e ostinato. L’intellettu­ale si era battuto perché la Palestina diventasse uno stato membro a pieno titolo dell’Unesco, e ci è riuscito. Dal 2012 ne è l’ambasciato­re. Da alcuni anni lavora al progetto di creare il primo museo pubblico d’arte di Palestina. Un museo vero, con una collezione ambiziosa, in un edificio moderno, opera di architetti di fama e con sede nella capitale.

Ha già individuat­o il terreno dove sarà costruito: “Ma non posso dire di più. Ricordo – sottolinea Sanbar – che lavoriamo in territorio occupato”. Nel 2015 è stata creata un’a ssociaz ione franco- palestines­e ed è stato firmato un partenaria­to con l’Institut du monde arabe di Parigi. Il suo direttore, Jack Lang, il 77nne ex ministro della Cultura di François Mitterrand, inventore della festa della Musica, ha aperto le porte dell’Ima alle opere d’arte della futura collezione, quelle già riunite e quelle che verranno, per tutto il tempo che sarà necessario.

Il museo di Palestina in attesa di avere una casa propria è dunque ospite di Parigi a tempo indetermin­ato. Qualche giorno fa Elias Sanbar e Jack Lang hanno riunito un gruppo di giornalist­i di diversi paesi per mostrare una selezione di opere ( esposta fino al 26 marzo), far conoscere il progetto anche al di fuori della Francia e lanciare un appello: gli artisti “solidali” di tutto il mondo sono chiamati a partecipar­e. Anche israeliani? “Tutti sono ben- venuti – risponde Sanbar –. Non chiediamo il passaporto a nessuno”.

Soldi per acquisire le opere non ce ne sono. Il futuro museo si fonderà sul dono e sul passaparol­a, proprio come nei primi anni 80 era stato per il museo degli Artisti contro l’Apartheid nato quando Nelson Mandela era ancora in prigione. La colle- zione era stata riunita grazie ai doni di decine di artisti internazio­nali, aveva fatto il giro del mondo e, alla fine del regime razziale, si era stabilita a Città del Capo, in Sudafrica.

ALL’EPOCA Ernest Pignon Ernest aveva coordinato il progetto. Più di trent’anni dopo, l’artista francese, a 75 anni, coordina anche la creazione del futuro museo palestines­e. In Italia lo conosciamo anche perché ne l l’ 88 aveva tappezzato con i suoi suggestivi collage di opere di Caravaggio i muri dei palazzi nelle strade di Napoli. Alla Palestina ha donato un’opera fotografic­a su cui figura il collage che l’artista ha realizzato sul muro di un palazzo in rovina di Ramallah, nel 2009. Un ritratto a grandezza reale del poeta palestines­e Mahmoud Darwich, morto nel 2008, che militò per la liberazion­e della Palestina e visse in esilio più di trent’anni. Ernest Pignon Ernest è stato diverse volte a Ramallah, dove “gli artisti lavorano molto, ma sono isolati. Un po’ meno grazie a internet”.

In Palestina ci sono dei musei, ma sono tutti privati e spesso occupano locali molto piccoli. Ogni operazione logistica è complicata, trasferire le opere, far arri-

vare dall’estero il materiale necessario, organizzar­e delle esposizion­i. “Bisogna dare a questo popolo l’accesso alla bellezza – osserva Elias Sanbar, mentre ci fa visitare la mostra –. Ho conosciuto artisti a Gaza che non hanno mai visto un quadro in tutta la loro vita, se non riprodotto sui giornali o nei libri”.

ERNEST Pignon Ernest ha già raccolto un centinaio di opere di un’ottantina di artisti francesi. Ci sono i lavori di Hervé Di Rosa, Gérard Fromanger, Errò, Hervé Télémaque, Gérard Voisin. “Per ora sono artisti della mia generazion­e, perché li conosco – ha spiegato – ed è stato più facile”. Ma, poiché il passaparol­a sta già funzionand­o, diversi artisti francesi della giovane generazion­e hanno già promesso un dono.

Tra questi, lo street artist C215 e il fotografo JR, noto tra l’altro per il suo collage fotografic­o gigante nelle favelas di Rio. Sono già nella collezione anche scatti di Henri Cartier- Bresson e Robert Doisneau, e illustrazi­oni di Tardi. “Il nostro scopo non è di accettare tutto solo perché ci viene donato – ha spiegato Ernest Pignon Ernest –. Bisognerà organizzar­e la collezione per correnti stilistich­e come in un museo vero. Chiedo a ogni artista di donare un’opera che testimonia la sua ricerca. Alcuni mi hanno invitato nel loro atelier e mi hanno chiesto di scegliere”. Dopo Parigi le opere saranno esposte in Europa e nel mondo. La prima tappa però si farà al Palestinia­m Museum, un museo privato dedicato alla storia di Palestina e alla diaspora che apre a settembre a Bir Zeit, in Cisgiordan­ia. Ma che per nascere ci ha messo vent’anni.

“In Palestina non si è padroni del proprio destino. Bisogna imparare a essere pazienti. Aprire un museo – dice Sanbar – è un atto di fede, per dire che la vita sarà più forte e che l’arte può essere terreno di riconcilia­zione”.

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