Il Fatto Quotidiano

Franceschi­ni trama e Minniti studia da nuovo leader Pd

ZIBALDONE Volti e citazioni della tre giorni I “big” si stringono (per ora) al capo di Pontassiev­e, De Luca “recidivo” su Italo Calvino, Gramsci trionfa

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

Su Italo Calvino, il pugnace Vincenzo De Luca è stato recidivo. Ci è ricascato di nuovo. La citazione ha volteggiat­o nell’aere proletario del Lingotto, sabato, facendo andata e ritorno ben sopra le teste dei comuni partecipan­ti: “Obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La terra l’ha dimenticat­a”. Ora, detto che in bocca al governator­e campano “Zora” rimanda più alla popputa vampira del noto fumetto che alle “Città invisibili” di Calvino, l’ex comunista di Salerno è solito piegare questo brano alle sue manie edilizie. Accadde già con il mostro del Crescent e la figlia dello scrittore gli intimò di non usare più “Zora”.

“VEDI TU come devi fare: offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu ma portali a votare Sì”. Stavolta la citazione è dello stesso De Luca. È l’ormai nota apologia del clientelis­mo, durante la scorsa campagna referendar­ia. La frase è più attuale che mai perché sabato mattina al Lingotto ha parlato Vincenzo Linarello, un ragazzo calabrese innalzato da Renzi come modello anti-’ndrangheta. Linarello ha fatto un appello: “Dobbiamo bandire il clientelis­mo dall’I- bandonato”. Poi l’ex scout divenne premier. E ci furono guai anche per i suoi, di ministri. Come il responsabi­le dei Trasporti Maurizio Lupi, con quel Rolex da 10 mila euro regalato al figlio da uno degli arrestati nell’inchiesta sulle grandi opere. E la forzista Federica Guidi (Sviluppo economico), nella tempesta dopo la pubblicazi­one di alcune intercetta­zioni in cui rassicurav­a il suo compagno sull’approvazio­ne di un emendament­o che avrebbe favorito i suoi interessi sul giacimento di petrolio di Tempa Rossa, in Basilicata. Si dimisero entrambi, nel silenzio ufficiale di Renzi. Che dietro le quinte però si mosse, eccome, facendolo trapelare su mille retroscena. Ma erano ministri di altri partiti, non del Pd. Soprattutt­o, non erano petali del giglio magico. Con i benefici del caso. talia”. Evviva. E De Luca? Viene utile la lezione veltronian­a del “ma anche”: “Bandiamo il clientelis­mo ma offriamo anche fritture di pesce”.

IL TROLLEY è stato il simbolo di questo Lingotto di colore verde e dallo slogan viaggiator­e, “tornare a casa per ripartire insieme”, nonché della clamorosa scoperta del plurale. Il primo volto, squadrato e triste, del “no i” renziano è stato Maurizio Martina, ex bersaniano oggi ministro dell’Agricoltur­a. Martina correrà in ticket con il magnanimo ex premier. Farà il vicesegret­ario. A lui, Renzi ha dato togliattia­namente il compito di “costruire il nuovo partito”. Nel suo intervento, il ministro, che viene dalla tradizione diessina, ha citato Aldo Moro, lo statista dc ucciso dalle Brigate rosse. Indizio di quell’amalgama finalmente riuscita tra ex comunisti ed ex democristi­ani? Qualche osservator­e più attento e pragmatico ha una spiegazion­e diversa: “Martina ha portato la Coldiretti in dote a Renzi”. La Coldiretti è l’associazio­ne di contadini simbolo d e ll ’ antico collateral­ismo bianco della Dc. I tempi mutano. La Cgil resta a sinistra e così nella macchina del Pd entrano le truppe della Coldiretti. Indispensa­bili per raccoglier­e firme o fondi o applaudire ai comizi.

AL LINGOTTO è intervenut­o finanche il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo. Un evento storico, nel suo piccolo. Dal palco, Moncalvo ha di- spensato smisurati elogi: “Dopo decenni di abbandono, Renzi e Martina hanno rimesso l’agricoltur­a al centro della strategia per il Paese”.

IL PARTITO degli “eredi” non dei “reduci”: altro solco renziano. In platea battute, allusioni e riflession­i. Innanzitut­to, sono stati tanti i parlamenta­ri presenti, e di varia estrazione, a parlare di eredità in questo senso: “Spartirsi le spoglie del renzismo”. In base a questa teoria, molto dibattuta tra i capicorren­te, a partire d al l’immarcesci­bile Dario Franceschi­ni, il combinato disposto “primarie più elezioni” costituire­bbe “l’ultimo giro di Matteo”. Dopo ci saranno gli eredi, appunto. In questa chiave futuristic­a va anche letto l’inatteso successo di Marco Minniti, ieri mattina. Reduce dai fatti di Napoli, il ministro dell’Interno è stato interrotto spesso da lunghi applausi. Una sorpresa. “Una lezione da vero comunista, tutto legge e ordine”. E ancora: “Se va avanti così diventa un leader vero”.

IN OGNI CASO Minniti ha proclamato fedeltà imperitura a Renzi, sulla stessa linea ortodossa degli altri big. A prevalere è stata la metafora calcistica in senso collettivi­stico. Franceschi­ni l’ha chiamato “il nostro capitano”. Il suo collega di governo, Graziano Delrio, ha osato ancora di più: “Senza una squadra anche Maradona va in difficoltà”. Gramsci, poi. Il ritorno del gramscismo è un must dilagante. Tutti lo citano. Compreso Orfini orfano di Orlando, che predilige “il sovversivi­smo delle classi dirigenti”.

Il partito degli eredi, infine, nel senso dei “figli di”. Renzi, Boschi e Lotti intesi come eredi dei rispettivi babbi. Il ministro dello Sport è arrivato solo ieri, dopo due giorni di assenza. Indagato per la fuga di notizie dell’inchiesta Consip, ha ricevuto la solidariet­à di tantissimi al Lingotto, in procession­e per salutarlo. Lui e il premier Gentiloni sono stati i presenti silenti della domenica mattina. Come due sagome cartonate. Al cospetto, di un popolo in carne e ossa, che ancora c’è, e ha passione. Bastava farsi un giro per i tavoli tematici. Tipo quello sulla giustizia, dove un militante di Corleone ha gridato: “Mi sento offeso ogni volta che i grillini ci insultano. Io combatto la mafia”. Già.

Abbraccio Coldiretti Le truppe di Martina, la passione militante ai “tavoli tematici” e Paolo “cartonato”

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Colonnelli Marco Minniti e, a sinistra, Dario Franceschi­ni

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