L’8 marzo e i vecchi adagi “rispolverati” dalla protesta di piazza
Ho sempre pensato che esistessero “p er s one”. Certo, subisco – come quasi tutti – il fascino dell’integralismo; e quindi mi viene naturale dividere il mondo in buoni e cattivi, intelligenti e stupidi, simpatici e antipatici.
Recentemente – confesso – mi viene difficile evitare di distinguere tra religioni innocue e religioni criminogene; però me ne vergogno un po’; spero che basti a salvare la mia coerenza.
SICCHÉ la celebrazione dell’8 marzo non mi ha infastidito solo perché un corteo mi ha impedito di arrivare a un importante appuntamento; ma soprattutto perché è stata l’ennesima manifestazione di “razzismo”: bianchi contro neri, etero sessuali contro omosessuali, femmine contro maschi. Le “persone”, per gente così, non contano niente; conta invece – molto – l’occasione di giustificare a se stessi la loro esistenza: partecipo a una crociata, non so bene contro chi (i maschi? Tutti?); dunque esisto. In verità, questa volta la festa dell’ 8 marzo ha rispolverato avversari già noti ma ancora molto utili per la sua legittimazione: il femminicidio e l’ostruzi onismo al l’aborto. Entrambi inesistenti ma di effetto sicuro.
Il femminicidio. La sua qualificazione giuridica è difficile. Un po’perché il reato in questione non esiste nel panorama legislativo italiano (e, per la verità, in nessun altro Paese); un po’ perché l’interpretazione letterale del termine conduce a situazioni giuridiche aberranti. Femminicidio significa “uccisione di una femmina”. Sicché il rapinatore che faccia strage di clienti e personale in una banca commetterebbe due distinti reati, l’omicidio quanto alle vittime di sesso maschile e il femminicidio quanto a quelle di sesso femminile. La distin- zione dovrebbe comportare sanzioni diverse; diversamente sarebbe priva di senso. Ma ciò osterebbe contro l’art. 3 della Costituzione e il connesso principio di ragionevolezza: perché l’uccisione di un cliente o un impiegato di sesso femminile dovrebbe essere considerata più grave di quella di una corrispondente persona di sesso maschile? Dunque “femminicidio” dovrebbe essere limitato ai casi in cui la femmina è uccisa in quanto femmina, perché femmina, sfruttando le debolezze insite nel suo essere femmin a. Ci r c ostanze queste già sanzionate con le aggravanti del codice penale previste dagli artt. 61 numeri 1, 4 e 5 (omicidio commesso per motivi abbietti o futili, adoperando sevizie, disparità di forza fisica) e 576 comma 5 ( connessione con i reati di maltrattamento e violenza sessuale).
Capisco, sono norme che scontano il torto di essere applicabili anche ai casi in cui la vittima è un maschio. Allora, prescindendo da aride argomentazioni scientifiche, sta di fatto che, secondo la Direzione Centrale di Polizia Criminale, tra l’agosto 2013 e il luglio 2014 (dati più recenti non ne ho), ci sono stati 435 omicidi; le femmine uccise in ambito familiare/affettivo (dovrebbero essere le uccisioni qualificabili come femminicidio) sono state 101; i maschi uccisi in questo stesso ambito ( maschicidio?) 55.
DUNQUE il preteso femminicidio che mobilita milioni di femmine inviperite ha riguardato (nel 2014) 46 vittime in più rispetto all’analogo fenomeno declinato al maschile. Non è un po’ poco per giustificare una crociata?
Quanto all’aborto osteggiato su scala nazionale da medici obiettori e politiche oscurantiste (ce n’è, ovviamente; ma non in questo caso). Statistiche del Ministero della Salute: due terzi degli aborti sono effettuati entro 14 giorni dalla richiesta, oltre il 20% tra 15 e 21 giorni, oltre l'8% tra 22 e 28 giorni e solo poco più del 3,5% dopo oltre 28 giorni. Magari il resto della Sanità funzionasse con questi tempi. E poi: se questi sono i tempi, che c’entrano i medici obiettori di coscienza? È evidente che quelli che restano sono perfettamente in grado di assicurare il servizio.
Quanto all’aborto, magari il resto della Sanità funzionasse con questi tempi: due terzi sono effettuati entro 14 giorni