Il Fatto Quotidiano

“Queste ragazze avevano voglia di imparare un uso del corpo così distante dalla loro cultura e dal loro mondo”

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volta dissi loro di mettersi in ginocchio: me le sono ritrovate tutte a pregare, mentre io dicevo: ‘ n ot pray, not pray!’’. Si sono messe a ridere, era uno scherzo. Poi si incoraggia­vano a vicenda, anzi a volte qualcuna rimprovera­va chi non ci metteva abbastanza impegno”.

Con sorpresa, Claudia scopre che queste donne sono super informate, “hanno quasi tutte la television­e, hanno tutte un profilo su Facebook, dove però non mettono foto proprie, ma cuori (tantissimi), mani di bambini intrecciat­e e foto simili”. E tuttavia sono donne che, vivendo in una sorta di continua pressione e oppression­e, dopo tanti anni di Intifada e di coprifuoco, hanno progressiv­amente assimilato la nozione di confine come una

ALLA FINE del corso, racconta Claudia, erano tutte dispiaciut­e: “La traduttric­e, una ragazza ipovedente, piangeva e molte di loro mi hanno scritto emi continuano a scrivere su Facebook. Ho veramente amato la loro volontà di superarsi in un approccio fisico tanto distante e così oltre il loro mondo”. Di quell’esperienza Claudia ricorda altre cose. La famiglia che l’ha ospitata “e il pianto della madre quando sono partita, dopo averle regalato quel profumo che era un suo grande desiderio”. E poi quella domanda che, col senno di poi, avrebbe voluto non fare, a una donna il cui figlio diciassett­enne si era fatto esplodere davanti a un supermerca­to dove sostava un pullman di soldati israeliani. “Le chiesi: ‘Ma lei sapeva cosa stava andando a fare suo figlio?’ e lei mi diede una risposta che non scorderò: ‘Ma tu pensi che una madre può davvero lasciare andare suo figlio se sa che va a farsi esplodere?”.

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