Il Fatto Quotidiano

Un diamante non è per sempre Adesso lo dice pure la Consob

L’ Autorità indipenden­te: “Serve massima cautela, c’è scarsa trasparenz­a nei contratti”

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Un diamante sarà pure per sempre, ma forse quando De Beers lanciò lo slogan nel 1947 non si era trovato a fare i conti con le banche. Anche perché il colosso, che fino agli anni ‘80 controllav­a il 90% del mercato mondiale, allo stesso tempo estraeva le pietre preziose e le vendeva sul mercato. E, a garantirgl­i prezzi di vendita (e guadagni) alle stelle, gli bastava l’aver trasformat­o i diamanti in uno status symbol costruito sul legame tra il prodotto e la promessa d’amore eterno. Ma oggi, in tempi di magra per i più tradiziona­li titoli di Stato e obbligazio­ni, il diamante è stato trasformat­o dal sistema bancario nel nuovo bene di rifugio per eccellenza che, al contrario del mattone, non prevede neanche spese e tasse da sborsare. Si paga solo il 22% di Iva all’acquisto. E, per quanti fossero ancora scettici, allo sportello sfoderano un’altra arma: il confronto con l’oro. Se la pietra pura da un grammo in media vale circa 50mila euro, un grammo d’oro oggi si compra intorno a 35 euro con una volatilità ben più alta.

QUINDI DIAMOretta alle banche e investiamo in tutta sicurezza in diamanti senza pensarci su più di tanto? A ben vedere i numeri sembrerebb­e di sì: il 2016 è stato un ottimo anno per l’industria dei diamanti, con le vendite aumentate del 30%. Tanto che in Italia, il valore medio delle pietre vendute allo sportello, soprattutt­o nel Nord Est, va dai 10mila ai 20mila euro. Peccato, però, che il loro acquisto attraverso il canale bancario dovrebbe sempre richiedere la massima cautela, visto che la stessa pietra preziosa la si può pagare 3mila o 9mila euro. Ma per definirlo “un investimen­to rischioso, con prezzi di acquisto superiori al loro valore di mercato”, la Consob c’ha messo un bel po’ a deciderlo. Nonostante il fenomeno sia stato denunciato da Rep ort (Rai Tre) lo scorso ottobre, l’Autorità che vigila sulla Borsa solo in questi giorni ha fatto una comunicazi­one ai mercati, mettendo in guardia i risparmiat­ori. Mentre anche Altroconsu­mo ha segnalato numerose irregolari­tà delle banche coinvolte all’Antitrust che, poche settimane fa, ha avviato due distinte istruttori­e per pratiche commercial­i scorrette verso le due maggiori società che distribuis­cono i diamanti attraverso il canale bancario (Diamond Private Investment e Idb Intermedia­zioni).

NON SOLO, infatti, il diamante acquistato fuori dalle gioielleri­e viene sopravvalu­tato rispetto alle sue caratteris­tiche (le famose quattro C: Carat il peso in carati, Cut ovvero come sono tagliati, Clarity la purezza e Color per il colore), ma è stato sempre venduto come un investi- mento secondo le stesse regole dettate dalla Consob. Le banche hanno così sempre offerto pietre senza alcuna informativ­a precontrat­tuale, senza nessun prospetto informativ­o e veicolando informazio­ni in maniera parziale e fuorviante.

A FINIRE sotto accusa è soprattutt­o la promessa che viene fatta all’acquirente di poter rivendere la pietra preziosa alla stessa società da cui l’ha comprata. Ma, non solo le banche omettono di dire che esistono dei costosi balzelli da versare in uscita, ma è anche bene ricordare che gli istituti non vendono direttamen­te i diamanti: hanno stretto accordi commercial­i con società specializz­ate in questo settore, da cui ricevono una commission­e fra il 10% ed il 15% (inclusa nel prezzo), oltre ad eventuali bonus per il raggiungim­ento di determinat­i obiettivi di vendita stabiliti ad inizio anno. Un meccanismo che, insieme all’Iva, fa gonfiare il prezzo dei diamanti e che, in soldoni, fa sborsare al cliente almeno il doppio dei valori di mercato.

Nel dettaglio, secondo u n’in d ag in e di Altroconsu­mo la mancanza di trasparenz­a e l’altissimo rischio di far perdere il capitale investito nascono proprio d a ll ’ ambiguità degli stessi contratti. Per l’ associazio­ne, “Idb Intermedia­zioni non ha alcun obbligo di riacquisto, ma solo quello di accettare dal cliente un mandato di 4 mesi a vendere ai prezzi di quotazione con commission­i comprese tra il 16% + Iva del prezzo di vendita (nel primo anno) e un minimo del 7% + Iva se la vendita avviene dopo 7 anni dall’acquisto. Mentre per la Diamond Private Investment il compenso è del 10% +Iva del prezzo finale del diamante”.

Inoltre, in numerose condizioni contrattua­li riportate nella proposta di acquisto, c’è una clausola che escludere ogni responsabi­lità della banca. Postilla però vessatoria, dal momento che gli istituti sono sempre responsabi­li di quello che offrono in quanto guadagnano per la loro attività di “segnalazio­ne”.

Del resto è chiaro il loro interesse: prezzi di vendita alti per un guadagno maggiore. A cui la Consob vorrebbe mettere un freno grazie a una collaboraz­ione avviata con la Banca d’Italia e con l’Antitrust.

Allo sportello

Il prezzo a cui vengono venduti al cliente è almeno il doppio del valore di mercato

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