Un diamante non è per sempre Adesso lo dice pure la Consob
L’ Autorità indipendente: “Serve massima cautela, c’è scarsa trasparenza nei contratti”
Un diamante sarà pure per sempre, ma forse quando De Beers lanciò lo slogan nel 1947 non si era trovato a fare i conti con le banche. Anche perché il colosso, che fino agli anni ‘80 controllava il 90% del mercato mondiale, allo stesso tempo estraeva le pietre preziose e le vendeva sul mercato. E, a garantirgli prezzi di vendita (e guadagni) alle stelle, gli bastava l’aver trasformato i diamanti in uno status symbol costruito sul legame tra il prodotto e la promessa d’amore eterno. Ma oggi, in tempi di magra per i più tradizionali titoli di Stato e obbligazioni, il diamante è stato trasformato dal sistema bancario nel nuovo bene di rifugio per eccellenza che, al contrario del mattone, non prevede neanche spese e tasse da sborsare. Si paga solo il 22% di Iva all’acquisto. E, per quanti fossero ancora scettici, allo sportello sfoderano un’altra arma: il confronto con l’oro. Se la pietra pura da un grammo in media vale circa 50mila euro, un grammo d’oro oggi si compra intorno a 35 euro con una volatilità ben più alta.
QUINDI DIAMOretta alle banche e investiamo in tutta sicurezza in diamanti senza pensarci su più di tanto? A ben vedere i numeri sembrerebbe di sì: il 2016 è stato un ottimo anno per l’industria dei diamanti, con le vendite aumentate del 30%. Tanto che in Italia, il valore medio delle pietre vendute allo sportello, soprattutto nel Nord Est, va dai 10mila ai 20mila euro. Peccato, però, che il loro acquisto attraverso il canale bancario dovrebbe sempre richiedere la massima cautela, visto che la stessa pietra preziosa la si può pagare 3mila o 9mila euro. Ma per definirlo “un investimento rischioso, con prezzi di acquisto superiori al loro valore di mercato”, la Consob c’ha messo un bel po’ a deciderlo. Nonostante il fenomeno sia stato denunciato da Rep ort (Rai Tre) lo scorso ottobre, l’Autorità che vigila sulla Borsa solo in questi giorni ha fatto una comunicazione ai mercati, mettendo in guardia i risparmiatori. Mentre anche Altroconsumo ha segnalato numerose irregolarità delle banche coinvolte all’Antitrust che, poche settimane fa, ha avviato due distinte istruttorie per pratiche commerciali scorrette verso le due maggiori società che distribuiscono i diamanti attraverso il canale bancario (Diamond Private Investment e Idb Intermediazioni).
NON SOLO, infatti, il diamante acquistato fuori dalle gioiellerie viene sopravvalutato rispetto alle sue caratteristiche (le famose quattro C: Carat il peso in carati, Cut ovvero come sono tagliati, Clarity la purezza e Color per il colore), ma è stato sempre venduto come un investi- mento secondo le stesse regole dettate dalla Consob. Le banche hanno così sempre offerto pietre senza alcuna informativa precontrattuale, senza nessun prospetto informativo e veicolando informazioni in maniera parziale e fuorviante.
A FINIRE sotto accusa è soprattutto la promessa che viene fatta all’acquirente di poter rivendere la pietra preziosa alla stessa società da cui l’ha comprata. Ma, non solo le banche omettono di dire che esistono dei costosi balzelli da versare in uscita, ma è anche bene ricordare che gli istituti non vendono direttamente i diamanti: hanno stretto accordi commerciali con società specializzate in questo settore, da cui ricevono una commissione fra il 10% ed il 15% (inclusa nel prezzo), oltre ad eventuali bonus per il raggiungimento di determinati obiettivi di vendita stabiliti ad inizio anno. Un meccanismo che, insieme all’Iva, fa gonfiare il prezzo dei diamanti e che, in soldoni, fa sborsare al cliente almeno il doppio dei valori di mercato.
Nel dettaglio, secondo u n’in d ag in e di Altroconsumo la mancanza di trasparenza e l’altissimo rischio di far perdere il capitale investito nascono proprio d a ll ’ ambiguità degli stessi contratti. Per l’ associazione, “Idb Intermediazioni non ha alcun obbligo di riacquisto, ma solo quello di accettare dal cliente un mandato di 4 mesi a vendere ai prezzi di quotazione con commissioni comprese tra il 16% + Iva del prezzo di vendita (nel primo anno) e un minimo del 7% + Iva se la vendita avviene dopo 7 anni dall’acquisto. Mentre per la Diamond Private Investment il compenso è del 10% +Iva del prezzo finale del diamante”.
Inoltre, in numerose condizioni contrattuali riportate nella proposta di acquisto, c’è una clausola che escludere ogni responsabilità della banca. Postilla però vessatoria, dal momento che gli istituti sono sempre responsabili di quello che offrono in quanto guadagnano per la loro attività di “segnalazione”.
Del resto è chiaro il loro interesse: prezzi di vendita alti per un guadagno maggiore. A cui la Consob vorrebbe mettere un freno grazie a una collaborazione avviata con la Banca d’Italia e con l’Antitrust.
Allo sportello
Il prezzo a cui vengono venduti al cliente è almeno il doppio del valore di mercato