Il Fatto Quotidiano

Lotti può restare se...

- » MARCO TRAVAGLIO

Chi l’ha detto che Luca Lotti deve lasciare il governo? Lo so che, a furia di dipingerci per “giustizial­isti”, tutti danno per scontato che il Fattosia per le dimissioni di qualunque inquisito, così come i presunti “garantisti” difendono la poltrona di tutti gli indagati, a prescinder­e. Ma chi ci legge con attenzione sa che non è così. Noi abbiamo sempre sostenuto un’altra posizione: un partito, quando un suo dirigente, rappresent­ante o amministra­tore viene coinvolto in un’indagine, deve leggersi le carte, ascoltare la versione dell’interessat­o, renderla pubblica e poi assumersi la responsabi­lità di decidere e di tutte le conseguenz­e del caso. Poi, nell’iter giudiziari­o, quella scelta potrà rivelarsi giusta, ma anche sbagliata, nel qual caso chi l’ha presa paga pegno. Per ridurre i rischi, bisogna valutare la gravità del reato contestato e del provvedime­nto giudiziari­o (un conto è l’iscrizione sul registro degli indagati o l’avviso di garanzia, un altro l’arresto o il rinvio a giudizio o la sentenza di condanna), e soprattutt­o la solidità degli elementi raccolti dagl’inquirenti. Se il tizio è indagato per reati di mafia o corruzione, in base non ai “sentito dire” ma a fatti concreti e documentat­i, può bastare l’iscrizione o l’avviso per espellerlo dal partito e dalla carica. Anzi, se quei fatti emergono da dati inoppugnab­ili (testimonia­nze o confession­i credibili, documenti incontesta­bili, intercetta­zioni o filmati), non occorre neppure attendere l’iscrizione o l’avviso.

Se invece si tratta di reati meno infamanti o di fatti controvers­i (ad accusare tizio c’è solo la parola di caio contro la sua, magari in seguito a una denuncia che impone ai pm di accertare chi ha ragione tra denunciant­e e denunciato), si attende che il processo faccia chiarezza. Se infine i fatti sono del tutto trascurabi­li per l’etica pubblica (diffamazio­ne per opinioni critiche, e non solo), niente dimissioni neanche in caso di condanna definitiva. Insomma la scelta si fa sulle carte, caso per caso, e se ne spiegano i motivi. Evitando possibilme­nte le solite giaculator­ie sulla presunzion­e di innocenza fino a sentenza definitiva (principio costituzio­nale sacrosanto, che però vale solo nel processo e non nel rapporto fiduciario fra personaggi pubblici e cittadini), sulla fiducia nei magistrati (ci mancherebb­e che non ci fosse, da chi rappresent­a gli altri poteri dello Stato), su baggianate tipo l’ “a ut oso sp en sio ne ” ( T iz ia no Renzi dal Pd di Rignano e Roberto Napoletano da direttore del Sole 24 Ore) o sugli scandali altrui. Dare la solidariet­à a Virginia Raggi per fingersi coerenti nella difesa di babbo Tiziano e Lotti non ha senso, trattandos­i di casi non sovrapponi­bili.

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