Lotti può restare se...
Chi l’ha detto che Luca Lotti deve lasciare il governo? Lo so che, a furia di dipingerci per “giustizialisti”, tutti danno per scontato che il Fattosia per le dimissioni di qualunque inquisito, così come i presunti “garantisti” difendono la poltrona di tutti gli indagati, a prescindere. Ma chi ci legge con attenzione sa che non è così. Noi abbiamo sempre sostenuto un’altra posizione: un partito, quando un suo dirigente, rappresentante o amministratore viene coinvolto in un’indagine, deve leggersi le carte, ascoltare la versione dell’interessato, renderla pubblica e poi assumersi la responsabilità di decidere e di tutte le conseguenze del caso. Poi, nell’iter giudiziario, quella scelta potrà rivelarsi giusta, ma anche sbagliata, nel qual caso chi l’ha presa paga pegno. Per ridurre i rischi, bisogna valutare la gravità del reato contestato e del provvedimento giudiziario (un conto è l’iscrizione sul registro degli indagati o l’avviso di garanzia, un altro l’arresto o il rinvio a giudizio o la sentenza di condanna), e soprattutto la solidità degli elementi raccolti dagl’inquirenti. Se il tizio è indagato per reati di mafia o corruzione, in base non ai “sentito dire” ma a fatti concreti e documentati, può bastare l’iscrizione o l’avviso per espellerlo dal partito e dalla carica. Anzi, se quei fatti emergono da dati inoppugnabili (testimonianze o confessioni credibili, documenti incontestabili, intercettazioni o filmati), non occorre neppure attendere l’iscrizione o l’avviso.
Se invece si tratta di reati meno infamanti o di fatti controversi (ad accusare tizio c’è solo la parola di caio contro la sua, magari in seguito a una denuncia che impone ai pm di accertare chi ha ragione tra denunciante e denunciato), si attende che il processo faccia chiarezza. Se infine i fatti sono del tutto trascurabili per l’etica pubblica (diffamazione per opinioni critiche, e non solo), niente dimissioni neanche in caso di condanna definitiva. Insomma la scelta si fa sulle carte, caso per caso, e se ne spiegano i motivi. Evitando possibilmente le solite giaculatorie sulla presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva (principio costituzionale sacrosanto, che però vale solo nel processo e non nel rapporto fiduciario fra personaggi pubblici e cittadini), sulla fiducia nei magistrati (ci mancherebbe che non ci fosse, da chi rappresenta gli altri poteri dello Stato), su baggianate tipo l’ “a ut oso sp en sio ne ” ( T iz ia no Renzi dal Pd di Rignano e Roberto Napoletano da direttore del Sole 24 Ore) o sugli scandali altrui. Dare la solidarietà a Virginia Raggi per fingersi coerenti nella difesa di babbo Tiziano e Lotti non ha senso, trattandosi di casi non sovrapponibili.