Il Fatto Quotidiano

Brexit, doccia scozzese guasta la festa a May

Camera dei Comuni, via libera all’articolo 50: ma Sturgeon fissa il referendum

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Ealla

fine Theresa May ce l’ha fatta. Dopo un travaglio durato alcune settimane, il Brexit Billè stato votato dalla Camera dei Comuni. I due emendament­i modificati dai Lords, che chiedevano certezze sullo status dei cittadini europei e un voto nel merito dell’accordo finale raggiunto a Bruxelles, sono stati respinti.

Così oggi la prima ministra britannica potrà finalmente annunciare a Bruxelles la volontà inglese di attivare il fatidico articolo 50, che dà avvio alla procedura formale di distacco della Gran Bretagna dall’Unione europea. Cosa succederà ora?

NESSUNO lo sa. Il cammino che il Regno Unito dovrà percorrere per recidere i cordoni con l’odiata Ue sarà lungo e pieno di imprevisti e ostacoli. I termini tecnici sono di due anni, quindi per il marzo 2019 la gran Bretagna dovrebbe essere fuori. Ma si usa il condiziona­le, perché vista la complessit­à e la mole dei temi da trattare, pare piuttosto improbabil­e che in 24 mesi le questioni vengano risolte e dipanate. A cominciare dalla due principali: la libera circolazio­ne delle persone e la permanenza nel mercato unico. Theresa May ha messo un’asticella altissima, dichiarand­o “nessun accordo è meglio di un cattivo accordo”.

Ma non tutti in patria la pensano come lei.

Primi tra tutti gli scozzesi, che sono la prima gatta da pelare e il primo macigno sulla via della Brexit. Proprio ieri, mentre a Westminste­r si stava per dare il via libera alla Brexit, la prima ministra scozzese Nicola Sturgeon ha detto che la settimana prossima ufficializ­zerà la richiesta di un nuovo referendum sull’indipenden­za della Scozia. La cosa era nell’aria da tempo, ma tutti pensavano che fosse solo una minaccia.

Invece ieri è diventata realtà: la Sturgeon ha detto che si dovrà tenere tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, cioè prima che venga presa la decisione finale sull’esito della Brexit. Secca e immediata la risposta di Downing Street: no. Nella nota di rifiuto da parte del governo britannico si legge che un nuo- vo referendum sull’indipenden­za della Scozia ora sarebbe causa di “un’enorme incertezza economica nel peggior momento possibile”.

GLI SCOZZESIha­nno già votato nel 2014 e i No all’indipenden­za avevano vinto con il 55 per cento (il 45 per cento era per il Sì), ricordano da Downing Street. Ma la Sturgeon replica che le condizioni sono cambiate: “Due anni e mezzo fa non sapevamo che restare nel Regno Unito avrebbe significat­o uscire dalla Unione europea”. Ma adesso il vento oltre il Vallo di Adriano è cambiato. Gli ultimi sondaggi danno gli indipenden­tisti in vantaggio e questo ritorno di fiamma nazionalis­ta ha molto a che fare con la Brexit.

Sei scozzesi su dieci hanno votato per rimanere nell’Unione Europea e quindi se la Gran Bretagna esce, vorreb- bero uscire a loro volta dalla Gran Bretagna per rimanere nella Ue. A ruota potrebbe arrivare anche quella dell’Irlanda del Nord, dove la maggioranz­a dei cittadini ha votato contro la Brexit.

Una confusione assoluta, che aprirebbe le porte alle richieste di mille altre secessioni. Infatti, dicono i commentato­ri britannici, è molto improbabil­e che una Scozia secessioni­sta trovi porte aperte in Europa.

Un precedente del genere sarebbe stoppato dalla Spagna in primo luogo, per il rischio di dare fiato alle istanze secessioni­ste della Catalogna e dei baschi.

Nel giustifica­re il suo rifiuto la May dice che il suo governo si impegna a negoziare una Brexit nell’“interesse di tutte le nazioni del Regno Unito”.

Strada tutta in salita, quindi. E i primi nemici sono in casa.

Effetto domino Edimburgo non vuole uscire dall’Ue e anche l’Irlanda del Nord è contraria. Londra furibonda

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Ansa Theresa May e Nicola Sturgeon, leader scozzese
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Prime donne
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