Il Fatto Quotidiano

Nascere o non nascere? L’Amleto 2.0 di McEwan

Il nuovo romanzo dell’autore britannico: protagonis­ta, un feto

- » GIORGIO BIFERALI

A40 EDITORI ITALIANI A LONDRA Saranno 40 le aziende italiane alla 46ª edizione della “London Book Fair”, l’appuntamen­to internazio­nale per lo scambio dei diritti, a Londra da oggi al 16 marzo Per l’edizione 2017 presenti 60 Paesi, 220 eventi e 25 mila partecipan­ti volte verrebbe da chiedersi come siamo arrivati fin qui. Cercare nel presente non solo degli indizi di quello che verrà, ma anche delle tracce di quello che è stato, che non è più, e che adesso è diventato ricordo. Il presente, sì, fatto di giornate che sembrano sempre più corte, illuminate anche di notte, dove il sonno è diventato un hobby come tanti altri che nasconde la paura di rimanere indietro, di non stare al passo coi tempi. Tutti con la stessa postura, senza più il bisogno di guardarsi intorno, con i pollici che scivolano sopra un piccolo schermo luminoso. E quando ci si trova insieme, durante una cena, con le mani libere, si ha quasi l’impression­e di essere diventati sordi, che sì, c’è qualcuno che parla, ma non vediamo l’ora che finisca, per tornare al centro dell’attenzione.

NASCE DA QUI, forse, da questa paura di non saper più ascoltare, il nuovo romanzo di Ian McEwan, Nel guscio, che uscirà mercoledì in Italia pubblicato da Einaudi (traduzione di Susanna Basso, pp. 184, 18e ). Per recuperare l’innocenza, la purezza, il tempo in cui eravamo ancora incontamin­ati, McEwan non si accontenta più di tornare all’infanzia, diventata ormai troppo caotica e inflaziona­ta. Preferisce raccontare tutto dal punto di vista di un feto che sta per nascere, quindi dalla parte della vita prima della vita, che dura circa nove mesi, dove la giovinezza comincia nel periodo embrionale e dopo cinque mesi si è già arrivati alla mezza età.

Fa pensare a un racconto di Manganelli, dove un tale aspettava una lettera dall’Ufficio Esistenze, o a uno dei diari di Landolfi, che parlava dei non-nati come degli esseri “a bb an do na ti sulla soglia del mondo”. La pancia, la nostra prima casa, tonda e ospitale come la Terra, non è altro che il primo e unico luogo in cui rimaniamo sempre in silenzio, e nel tempo dell’attesa, dolce, a tratti, possiamo fare solo una cosa: ascoltare.

Il feto, ormai, a testa in giù nel corpo della sua futura madre, è pronto per venire alla luce, e in pochi mesi si è fatto un’idea della vita che lo aspetta. Assorbe tutto, come una spugna, dai podcast con le biografie di drammaturg­hi secentesch­i all’a ud io li br o dell’Ulisse, fino ai bicchieri di borgogna e di Sancerre che la madre si concede di tanto in tanto. Sa che nascerà a Londra, in un regno che non è poi così unito, quando avrebbe preferito la Norvegia per l’assistenza pubblica, l’Italia per le rovine baciate dal sole o la Francia per il suo Pinot Nero.

Si è accorto che nella sua non ancora vita ci sono tre personaggi: sua madre Trudy, suo padre John, lo zio (e fratello del padre) Claude. Il padre è un poeta sconosciut­o al grande pubblico, che veste anche i panni dell’e di to re per pubblicare esordienti e premi Nobel. Alla soglia dei trent’anni ha ereditato una villa di famiglia, un edificio georgiano sulla Hamilton terrace un po’ in decadenza, ma di grande valore economico. La madre, troppo fredda e razionale per sciogliers­i in un verso del marito, lo tradisce con il fratello, un agente immobiliar­e che fischietta motivetti pubblicita­ri, se ne esce con battute che non fanno ridere, ed è esperto solo di macchine e vestiti.

IL FETOè come se si trovasse in un teatro, come se assistesse a uno spettacolo di cui non vede gli attori, ne sente soltanto le voci. Due su tutte, quelle Trudy e di Claude, complici nel tradimento, mentre pianifican­o il delitto di John. In questa sorta di Amleto 2.0, si aggiunge l’impotenza del protagonis­ta, che può solo assistere al lento e graduale consumarsi del dramma, dando piccoli calci notturni alla madre, mandando lettere immaginari­e al padre, rimpiangen­dolo quando è ancora in vita, sperando in quella che tutti chiamano telepatia. “Essere, o non essere… dormire, forse sognare”, che è anche la condizione di chi aspetta di capitare in un mondo che gli ha già voltato le spalle.

Dovremmo scrivere sempre pensando che i nostri genitori siano morti, ha detto una volta McEwan. Ma può andar bene anche pensando di non essere ancora nati.

“Nel guscio” Il nascituro, ormai, a testa in giù nel corpo della sua futura madre, è pronto per venire alla luce, e in pochi mesi si è fatto un’idea della vita che lo aspetta

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LaPresse Scrittore Ian McEwan è nato in Inghilterr­a il 21 giugno 1948

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