Minzo interdetto e abusivo: Grasso lo faccia cacciare
Da 15 mesi l’ex direttore del Tg1 occupa il seggio in barba alla sentenza
■Il Senato ha respinto la richiesta di decadenza per la Severino, ma nella condanna di Cassazione il giornalista eletto con Fi viene allontanato dai pubblici uffici
Augusto Minzolini continua a essere un senatore della Repubblica, malgrado su di lui, oltre alla condanna a due anni e mezzo per peculato, penda una pena accessoria della stessa durata: l’interdizione dai pubblici uffici. A rigor di legge ( non solo Severino) l’ex Direttorissimo del Tg1 in questo momento non potrebbe occupare una carica pubblica. Il voto con cui il Senato ha sconfessato la Severino, giovedì scorso, si è espresso sulla sua “sopravvenuta incandidabilità” dopo la sentenza della Corte di Cassazione. Ma non sugli effetti della pena accessoria, appunto, che era stata stabilita dalla Corte d’Appello di Roma il 27 ottobre 2014.
L’interdizione dai pubblici uffici – come stabilisce la sentenza n. 391/1966 della Cassazione – si attua “con decorrenza dal giorno in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile”. Dunque entra in azione subito dopo il terzo grado di giudizio. Nel caso di Minzolini, quello con cui è stato condannato per peculato continuato il 12 novembre 2015, a causa dei 65 mila euro spesi con la carta di credito della Rai. Dal giorno della sentenza, in cui l’interdizione sarebbe dovuta diventare esecutiva, sono passati 496 giorni; un anno e 4 mesi.
OGNI DECISIONE sulla sua incompatibilità con la carica di senatore spetta come sempre alla Camera di appartenenza, come stabilito dalla Costituzione agli articoli 65 e 66 (che stabiliscono che sia il Parlamento a verificare, sulla base della legge però, i requisiti degli eletti). Così per paradosso la Giunta per le autorizzazioni, e poi l’aula di Palazzo Madama, potrebbero essere chiamate a esprimersi di nuovo sulla possibile decadenza dell’ex direttore del Tg1, stavolta in virtù della pena accessoria che lo sospende dai pubblici uffici.
Sul fatto che tale interdizione riguardi anche i parlamentari non dovrebbe esserci alcun dubbio. Così dichiarava il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel 2007, quando da deputato votò a favore della decadenza di Cesare Previti, appena condannato in via definitiva nel processo Imi-Sir e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici: “Non c’è ufficio pubblico più pubblico del Parlamento. Un parlamentare interdetto decade dal suo mandato”.
Il tema di una nuova procedura per togliere il seggio a Minzolini è stato posto ieri da Repubblica, insieme all’ipotesi – sulla quale i pareri dei magistrati non sono concordi – che la procura generale di Roma possa sollevare un conflitto d’attribuzione presso la Corte costituzionale per la mancata destituzione dell’ex giornalista.
La questione è stata solle- vata anche da alcuni senatori a Palazzo Madama. Dario Stefano, presidente della Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari, ha avviato le verifiche presso gli uffici competenti.
INTANTO il Direttorissimo rimane impassibile. Per ora restiamo alle sue ultime pa- role pubbliche e all’annuncio dato prima in Giunta e poi di fronte all’Aula: Minzolini presenterà le sue dimissioni da senatore. Quando? Risposta: “Sono una persona seria, io. Lo farò subito, anche domani (oggi, ndr) ma prima mi devo informare con l’ufficio di Presidenza su quali siano i pas- saggi formali”. Da giovedì scorso non ne ha ancora avuto tempo. Tenendo fede alle sue buoni intenzioni, c’è un altro passaggio in aula che renderebbe l’eventuale rinuncia poco più che un gesto dimostrativo: anche le dimissioni di Minzolini avrebbero bisogno di essere approvate dai colleghi di Palazzo Madama. Gli stessi che hanno appena deciso che non deve decadere. “Minzo” se la ride: “E che ci posso fare io? Non posso mica suicidarmi...”.
Ricapitolando: il giornalista siede in Senato nonostante un’interdizione dai pubblici uffici che sarebbe dovuta diventare esecutiva 496 giorni fa, mentre il voto in Aula che lo ha sottratto alla decadenza prevista dalla legge Severino è arrivato – dopo una lunga melina di Forza Italia e una serie di rinvii – 490 giorni dopo la sentenza definitiva.
L’ULTIMO ritardo è quello del tribunale di Sorveglianza che deve deliberare sul suo affidamento ai servizi sociali, un destino che condivide con Silvio Berlusconi. La decisione era attesa a novembre, ma è slittata a fine marzo. Il Direttorissimo ci arriverà da senatore.