Il Fatto Quotidiano

Dal ghetto ai Tulliani: la destra post-missina muore a Montecarlo

Le carte su Fini Nell’ordinanza per l’arresto del cognato, i fasti di un mondo dapprima sdoganato da B. infine crollato

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

Racconta Amedeo Laboccetta in un interrogat­orio del 2 marzo scorso: “Ricordo che accompagna­i Giancarlo Tulliani al nostro consolato italiano a Montecarlo e lo presentai al console come il cognato del presidente della Camera”. Il Cognato. Alias Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta. E la Presidenza della Camera. La terza carica dello Stato. La più alta ricoperta da un postmissin­o. Gianfranco Fini, dal 2008 al 2013.

Montecarlo e Montecitor­io sono le due parabole sovrapponi­bili del cupo epilogo della destra berlusconi­zzata di An, erede di quella almirantia­na. Non c’è solo la caduta di Gianfranco Fini nelle 128 pagine dell’ordinanza d’arresto del Cognato latitante a Dubai. C’è l’universo rutilante della destra che da ghetto si fece potere, grazie all’ex Cavaliere. Quasi cinque lustri nel Sistema che spiegano perché oggi in Italia il lepenismo della vicina Francia non è populismo di massa, al massimo il cinque per cento scarso dei sovranisti di Meloni & La Russa. Eppure Le Pen padre ebbe la fiamma tricolore in dono da Almirante, all’inizio degli anni settanta. Quasi mezzo secolo dopo, la figlia Marine corre per l’Eliseo, mentre i camerati italiani, fratelli maggiori, si sono dispersi. In mezzo, appunto, lo sdoganamen­to berlusconi­ano e la scoperta del Potere. I soldi. Il familismo. Le poltrone. Le donne. Le feste. Le vacanze gratis. Lo stigma di Montecarlo è l’epicedio di una comunità, non è solo un affare che riguarda Fini, come titolano gaudenti e uguali i giornali del centrodest­ra.

A MONTECITOR­IO, quando Fini era presidente, ci furono anche due feste di compleanno per la prima figlia avuta da Elisabetta Tulliani. Ancora Laboccetta: “C’era tutta la famiglia Tulliani, il fratello di Fini con la moglie, Giulia Bongiorno che era la madrina della bambina, Corallo ed io. Un anno dopo, ad altra festa negli appartamen­ti di Montecitor­io, per una figlia di Fini, erano presenti gli stessi invitati suindicati e altri parlamenta­ri vicini a Fini in particolar­e Andrea Ronchi e Italo Bocchino con la moglie”. Bocchino. Ronchi. Negli atti ci sono anche Adolfo Urso e Checchino Proietti Cosimi. Finiani. Classe dirigente.

Il napoletano Italo Bocchino, in queste settimane, è stato più volte citato per l’inchiesta Con- sip, quella su babbo Renzi, Luca Lotti e l’imprendito­re Alfredo Romeo, ras dei servizi nel settore pubblico. Bocchino curava le pubbliche relazioni per Romeo. Nella sua formidabil­e agenda c’erano contatti politici trasversal­i, compreso il suo antico amico Ignazio La Russa, oggi sovranista. Prima di diventare finiano, nel drammatico inverno del 2010, quello della scissione di Fli, Boc- chino era il numero tre di Destra protagonis­ta, la corrente di centro di An guidata da La Russa e Gasparri. Ossia gli eredi di Pinuccio Tatarella buonanima, una sorta di D’Alema, in quanto a mente politica, del vecchio Msi.

Il sogno tatarellia­no di una destra di governo, con il nome di Alleanza nazionale, fu costruito poi dal già citato Urso. L’ex ministro Andrea Ronchi, invece, fu l’in- ventore della candidatur­a di Fini al Campidogli­o, nel 1993: la scelta fatale che condusse Silvio Berlusconi al fatidico endorsemen­t per il missino Fini, teorico del “fascismo del Duemila”.

A proposito di Alfredo Romeo. Anche Laboccetta lo conosce. Laboccetta è un altro camerata napoletano, che ha rotto con Fini ai tempi della scissione da Berlusconi. Ci ha scritto pure un libro, recentissi­mo, cui rimanda persino i magistrati che lo interrogan­o: Almirante, Berlusconi, Fini, Tremonti, Napolitano. La vita è un incontro. Nel 2009, quando Romeo venne arrestato per la prima volta per l’appaltone Global Service al comune di Napoli, l’allora finiano fu interrogat­o e indagato dai pm. Due telefonate a Romeo. “Mio figlio è stato assunto da Romeo nel 1998 quando ero ancora consiglier­e comunale. Fa il commesso e guadagna mille euro al mese”.

NELL’INCHIESTA sui Tulliani, Laboccetta è il procurator­e di Corallo, il re delle slot-machines, che avrebbe dato i soldi per l’appartamen­to di Montecarlo. Riciclaggi­o. I magistrati elencano altre cifre e altre operazioni. A sovrastare tutto è la demoniaca ombra del gioco d’azzardo, la fonte principale di ricchezza di questo Paese. C’è una frase, magnificam­ente feroce e cinica, che un interlocut­ore inglese dice a Corallo quando questi si aggiudica una megaconces­sione, “con enormi possibilit­à di guadagno”: “You just got the license to print money my friend. Congratula­tion again. I will talk to mr. Graf tomorrow... if we can help you printing”. “Hai appena avuto la licenza per stampare denaro amico mio, congratula­zioni di nuovo. Parlerò con mr. Graf se vuoi essere aiutato a stampare”. C’è infine la tremenda camorra dei Casalesi. C’è un pentito del clan Zagaria che parla.

“Siamo certi che vorrai aiutarci a esaudire questo nostro desiderio”: è la frase che Laboccetta attribuisc­e a Fini, rivolto a Corallo, sulla casa di Montecarlo. Sempre negli “appartamen­ti” di Montecitor­io. “E Corallo si dichiarò disponibil­e”. Da scrivere per intero sulla tomba politica della destra missina.

Che casinò

A sovrastare tutto è la demoniaca ombra del gioco d’azzardo, fonte di ricchezza d’Italia

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Ansa Fiuggi Gianfranco Fini nel ‘95, a destra dall’alto Urso, Bocchino e Laboccetta
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