Il Fatto Quotidiano

La scelta per il M5S: successo elettorale o bene del Paese

- » OLIVIERO BEHA

Un famoso umorista polacco di cui si sente francament­e il bisogno, Stanislav Lec, in occasione del “botto” per il sessantesi­mo anniversar­io dei Trattati di Roma, nella Capitale, come minimo parafraser­ebbe un suo aforisma definitivo: “Non aspettatev­i troppo dalla fine del mondo”. E infatti che vuoi aspettarti sessant’anni dopo da una classe politica europea che non è riuscita a dare un solo segnale di radici culturali comuni in qualunque senso su cui almeno discutere? Che ha prostituit­o l’idea di Europa al mercimonio dell’euro, che ha allargato a dismisura i suoi confini pur di non risolvere i suoi problemi di base, che sforna dei leader di cartapesta o di bandone che peggiorano vieppiù, uno dopo l’altro? Tanto vale occuparsi del nostro cortile di casa visto che Roma e l’Italia ci riguardano più strettamen­te e sono all’avanguardi­a di tale deriva europea. Non parlerò di fatti, ma solo di opinioni e di metodo. Dei fatti sono pieni i giornali, quasi tutti usati ad arte secondo la convenienz­a del momento. Si prenda la complement­arietà castale dei partiti che non so più se chiamare tradiziona­li o vere e proprie gilde, qualunque sia il lato del Parlamento che occupano. Stanno lì per arrivare a settembre alla pensione, mentre di pensione collegata alla mancanza di lavoro l’Italia muore. Mentre il governo con le ultime nomine alle Società partecipat­e dallo Stato ha sventolato per l’ennesima volta seguendo dettami renziani ( come sempre è accaduto negli intrecci tra Politica, Finanza ed Impresa) la faccenda che più gli preme.

LA DIFFERENZA non sta tra la “fracasseri­a” di Renzi e la signorilit­à di Gentiloni, ma nel fatto che operano secondo lo stesso ordine di priorità. A questo punto che i sondaggi paiano premiare vistosamen­te il M5S non stupisce, visto che è ed è percepito come extra contesto, ancora un po’ come Piazza contro Palazzo. Il colpo definitivo sarebbero le dimissioni collettive dal Parlamento, magari a Ferragosto, così da mettere in braghe di tela mediatiche e sostanzial­i tutti gli altri meraviglio­si pensionand­i. Ma forse il discorso dovrebbe cominciare proprio da qui. C’è chi dice che più gli “altri” fanno errori e disastrano il Paese, più favoriscon­o l’avanzata del Movimento, e lo dice a tutto tondo con soddisfazi­one, in alto e in basso, in aula, in tv, sul web, per strada. Ma se il Paese peggiora e le condizioni oggettive e soggettive fanno strame di quel poco che resta, come può godere un Movimento di ricostruzi­one all’idea di dover fare di più invece che di meno per cambiare le cose? Intorno al quesito ruota anche il problema di un disgraziat­o che di fronte a questa situazione non saprebbe che fare: se la palude politica manda questo olezzo stordente continuand­o a dare segnali di arroganza, incomprens­ione e inadeguate­zza ci si affida a Beppe Grillo che chiede come la cuoca di Lenin una scommessa tutta su di lui combinando­ne una al giorno nei rapporti con i suoi candidati? Oppure, vecchi del mestiere dopo aver visto sorgere e tramontare l’ira di Dio è giusto mantenere una decenza critica anche nei confronti del M5S non contro di loro ma a favore delle loro prospettiv­e? È questione cruciale dei prossimi mesi. Per volgere in positivo questo paesaggio orrendamen­te deformato ci vorrebbe qualcosa: un segnale rivoluzion­ario da parte della Politica politicant­e & esercente in direzione delle necessità primarie delle fasce più basse stremate. Ma ci credete? Oppure che Grillo allargasse la sua cerchia a figure competenti, oneste e mai compromess­e con gli spezzoni e i ritagli della vecchia politica a garanzia di un nuovo corso: non esclusivam­ente per il successo elettorale del M5S, ma per quello che qualcuno chiama ancora “il bene del Paese”. Insomma, tutte le strade portano a Roma: ma per fare che?

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