La scelta per il M5S: successo elettorale o bene del Paese
Un famoso umorista polacco di cui si sente francamente il bisogno, Stanislav Lec, in occasione del “botto” per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, nella Capitale, come minimo parafraserebbe un suo aforisma definitivo: “Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo”. E infatti che vuoi aspettarti sessant’anni dopo da una classe politica europea che non è riuscita a dare un solo segnale di radici culturali comuni in qualunque senso su cui almeno discutere? Che ha prostituito l’idea di Europa al mercimonio dell’euro, che ha allargato a dismisura i suoi confini pur di non risolvere i suoi problemi di base, che sforna dei leader di cartapesta o di bandone che peggiorano vieppiù, uno dopo l’altro? Tanto vale occuparsi del nostro cortile di casa visto che Roma e l’Italia ci riguardano più strettamente e sono all’avanguardia di tale deriva europea. Non parlerò di fatti, ma solo di opinioni e di metodo. Dei fatti sono pieni i giornali, quasi tutti usati ad arte secondo la convenienza del momento. Si prenda la complementarietà castale dei partiti che non so più se chiamare tradizionali o vere e proprie gilde, qualunque sia il lato del Parlamento che occupano. Stanno lì per arrivare a settembre alla pensione, mentre di pensione collegata alla mancanza di lavoro l’Italia muore. Mentre il governo con le ultime nomine alle Società partecipate dallo Stato ha sventolato per l’ennesima volta seguendo dettami renziani ( come sempre è accaduto negli intrecci tra Politica, Finanza ed Impresa) la faccenda che più gli preme.
LA DIFFERENZA non sta tra la “fracasseria” di Renzi e la signorilità di Gentiloni, ma nel fatto che operano secondo lo stesso ordine di priorità. A questo punto che i sondaggi paiano premiare vistosamente il M5S non stupisce, visto che è ed è percepito come extra contesto, ancora un po’ come Piazza contro Palazzo. Il colpo definitivo sarebbero le dimissioni collettive dal Parlamento, magari a Ferragosto, così da mettere in braghe di tela mediatiche e sostanziali tutti gli altri meravigliosi pensionandi. Ma forse il discorso dovrebbe cominciare proprio da qui. C’è chi dice che più gli “altri” fanno errori e disastrano il Paese, più favoriscono l’avanzata del Movimento, e lo dice a tutto tondo con soddisfazione, in alto e in basso, in aula, in tv, sul web, per strada. Ma se il Paese peggiora e le condizioni oggettive e soggettive fanno strame di quel poco che resta, come può godere un Movimento di ricostruzione all’idea di dover fare di più invece che di meno per cambiare le cose? Intorno al quesito ruota anche il problema di un disgraziato che di fronte a questa situazione non saprebbe che fare: se la palude politica manda questo olezzo stordente continuando a dare segnali di arroganza, incomprensione e inadeguatezza ci si affida a Beppe Grillo che chiede come la cuoca di Lenin una scommessa tutta su di lui combinandone una al giorno nei rapporti con i suoi candidati? Oppure, vecchi del mestiere dopo aver visto sorgere e tramontare l’ira di Dio è giusto mantenere una decenza critica anche nei confronti del M5S non contro di loro ma a favore delle loro prospettive? È questione cruciale dei prossimi mesi. Per volgere in positivo questo paesaggio orrendamente deformato ci vorrebbe qualcosa: un segnale rivoluzionario da parte della Politica politicante & esercente in direzione delle necessità primarie delle fasce più basse stremate. Ma ci credete? Oppure che Grillo allargasse la sua cerchia a figure competenti, oneste e mai compromesse con gli spezzoni e i ritagli della vecchia politica a garanzia di un nuovo corso: non esclusivamente per il successo elettorale del M5S, ma per quello che qualcuno chiama ancora “il bene del Paese”. Insomma, tutte le strade portano a Roma: ma per fare che?