Eni, tutti archiviati per il “complotto” anti-Descalzi
Finisce nel nulla l’inchiesta che ha fatto dimettere dal cda Zingales ed esautorare Litvak
Fumata nera per l’inchiesta su un presunto complotto ordito a livello internazionale per danneggiare l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, favorendo il passaggio sulla poltrona di ad, dell’ex Saipem Umberto Vergine. L’indagine itinerante, nata presso la Procura di Trani, passata poi a Siracusa, finisce a Milano. Qui, dove il fascicolo è stato trasferito mesi fa perché “i fatti appaiono connessi a procedimenti in corso”, l’intera vicenda, come anticipato ieri da Repubblica, corre verso una fatale archiviazione. Questa, almeno, la richiesta fatta dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale per il quale “non ci fu un complotto per destituire gli attuali vertici”.
STORIA A TAL PUNTO contorta da finire, secondo la lettura della Procura di Milano, in niente. Sul tavolo diversi protagonisti: alcuni funzionari del governo nigeriano accusati di concorso in corruzione internazionale e alti dirigenti di Eni. Tra loro l’ex consigliere Luigi Zingales, la consigliera a fine man- dato Karina Litvack e l’ex di Saipem Umberto Vergine. L’accusa per loro è diffamazione. Sarebbero stati destinatari in copia di email diffamatorie nei confronti di Descalzi. Secondo la tesi della cospirazione, veicolata da un esposto anonimo che conteneva alcuni audio di Massimo Gaboardi, un tecnico nel settore petrolifero, intento a parlare del complotto, la caduta di Descalzi avrebbe lasciato pista libera a un dirigente amico (in questo caso Vergine) per ottenere l'intero indotto dei rifiuti Eni.
A SOSTENERE LA TESI del complotto c’è anche l’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, indagato nel filone nigeriano per il giacimento Opl 245 assieme allo stesso Descalzi. Secondo il suo racconto, esponenti nigeriani gli avrebbero offerto 2 milioni di dollari per danneggiare Descalzi. Appena il fascicolo è arrivato a Milano, la Procura ha subito deciso di sentire lo stesso Gaboardi. In questi mesi sono stati poi ascoltati alcuni protagonisti dell’inchiesta Eni Nigeria. Verbali che, però, non saranno depositati negli atti allegati all’avviso di chiusura indagine per Eni-Nigeria. Secondo la tesi iniziale, uno dei pre- sunti artefici del complotto sarebbe Pietro Varone, ex manager Saipem (oggi a processo nel filone Saipem-Algeria).
ANCHE VARONE è stato sentito da De Pasquale. Interrogato come imputato di reato connesso. Durante l’interrogatorio, è stato detto che Gaboardi (indagato per concorso in corruzione internazionale) avrebbe rivelato di aver incontrato Varone nella zona di Brera, a Milano, nel 2014. In quel frangen- te, secondo Gaboardi, si è discusso del complotto. Varone ha negato ogni passaggio convincendo pienamente lo stesso De Pasquale. Tanto che per questa vicenda l’ex manager di Saipem non è indagato. L’interrogatorio di Varone è stato uno degli ultimi atti della Procura. Dopodiché è arrivata al gip la richiesta di archiviazione, perché, è il ragionamento dell’accusa, anche se le richieste ricevute da Armanna possono avere una base di verità questo “non consente in alcun modo di affermare che il complotto abbia un fondamento”. Di più: sempre secondo la Procura di Milano, sul fronte della diffamazione, “non vi è il minimo elemento per ritenere che dietro al proliferare di email anonime su presunte malefatte di manager Eni ci sia stata la mano dei consiglieri e dell'ex ad Saipem”. Da un lato il complotto, dall’altro i presunti finanziamenti israeliani all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, assomigliano a una polpetta avvelenata per un complotto al contrario, favorendo proprio lo stesso Claudio Descalzi. Che è appena stato riconfermato dal governo come ad di Eni per un altro triennio.