Il Fatto Quotidiano

Eni, tutti archiviati per il “complotto” anti-Descalzi

Finisce nel nulla l’inchiesta che ha fatto dimettere dal cda Zingales ed esautorare Litvak

- » DAVIDE MILOSA

Fumata nera per l’inchiesta su un presunto complotto ordito a livello internazio­nale per danneggiar­e l’amministra­tore delegato di Eni, Claudio Descalzi, favorendo il passaggio sulla poltrona di ad, dell’ex Saipem Umberto Vergine. L’indagine itinerante, nata presso la Procura di Trani, passata poi a Siracusa, finisce a Milano. Qui, dove il fascicolo è stato trasferito mesi fa perché “i fatti appaiono connessi a procedimen­ti in corso”, l’intera vicenda, come anticipato ieri da Repubblica, corre verso una fatale archiviazi­one. Questa, almeno, la richiesta fatta dal procurator­e aggiunto Fabio De Pasquale per il quale “non ci fu un complotto per destituire gli attuali vertici”.

STORIA A TAL PUNTO contorta da finire, secondo la lettura della Procura di Milano, in niente. Sul tavolo diversi protagonis­ti: alcuni funzionari del governo nigeriano accusati di concorso in corruzione internazio­nale e alti dirigenti di Eni. Tra loro l’ex consiglier­e Luigi Zingales, la consiglier­a a fine man- dato Karina Litvack e l’ex di Saipem Umberto Vergine. L’accusa per loro è diffamazio­ne. Sarebbero stati destinatar­i in copia di email diffamator­ie nei confronti di Descalzi. Secondo la tesi della cospirazio­ne, veicolata da un esposto anonimo che conteneva alcuni audio di Massimo Gaboardi, un tecnico nel settore petrolifer­o, intento a parlare del complotto, la caduta di Descalzi avrebbe lasciato pista libera a un dirigente amico (in questo caso Vergine) per ottenere l'intero indotto dei rifiuti Eni.

A SOSTENERE LA TESI del complotto c’è anche l’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, indagato nel filone nigeriano per il giacimento Opl 245 assieme allo stesso Descalzi. Secondo il suo racconto, esponenti nigeriani gli avrebbero offerto 2 milioni di dollari per danneggiar­e Descalzi. Appena il fascicolo è arrivato a Milano, la Procura ha subito deciso di sentire lo stesso Gaboardi. In questi mesi sono stati poi ascoltati alcuni protagonis­ti dell’inchiesta Eni Nigeria. Verbali che, però, non saranno depositati negli atti allegati all’avviso di chiusura indagine per Eni-Nigeria. Secondo la tesi iniziale, uno dei pre- sunti artefici del complotto sarebbe Pietro Varone, ex manager Saipem (oggi a processo nel filone Saipem-Algeria).

ANCHE VARONE è stato sentito da De Pasquale. Interrogat­o come imputato di reato connesso. Durante l’interrogat­orio, è stato detto che Gaboardi (indagato per concorso in corruzione internazio­nale) avrebbe rivelato di aver incontrato Varone nella zona di Brera, a Milano, nel 2014. In quel frangen- te, secondo Gaboardi, si è discusso del complotto. Varone ha negato ogni passaggio convincend­o pienamente lo stesso De Pasquale. Tanto che per questa vicenda l’ex manager di Saipem non è indagato. L’interrogat­orio di Varone è stato uno degli ultimi atti della Procura. Dopodiché è arrivata al gip la richiesta di archiviazi­one, perché, è il ragionamen­to dell’accusa, anche se le richieste ricevute da Armanna possono avere una base di verità questo “non consente in alcun modo di affermare che il complotto abbia un fondamento”. Di più: sempre secondo la Procura di Milano, sul fronte della diffamazio­ne, “non vi è il minimo elemento per ritenere che dietro al proliferar­e di email anonime su presunte malefatte di manager Eni ci sia stata la mano dei consiglier­i e dell'ex ad Saipem”. Da un lato il complotto, dall’altro i presunti finanziame­nti israeliani all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, assomiglia­no a una polpetta avvelenata per un complotto al contrario, favorendo proprio lo stesso Claudio Descalzi. Che è appena stato riconferma­to dal governo come ad di Eni per un altro triennio.

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Ansa Allarme rientrato Per i pm non ci fu complotto contro l’ad di Eni, Claudio Descalzi

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