Il Fatto Quotidiano

Manet, le luci a Parigi e l’inquietudi­ne della modernità

- » ANGELO MOLICA FRANCO

Manet è stato il più scandaloso e visionario pittore del canto della trasformaz­ione. L’unico capace di cogliere, nella sua innamorata osservazio­ne di Parigi, gli albori di ciò che essa si preparava a diventare: è la seconda metà dell’800, e la Ville Lumière si accinge a travalicar­e i suoi contorni di semplice città per divenire capitale della modernità. Sotto l’egida di Napoleone III e del prefetto Haussmann, vengono sventrati quartieri interi, Garnier progetta l’Opéra, gli eleganti e civili boulevards­i fanno largo, soprattutt­o per mostrare ai Miserables così ben tratteggia­ti da Victor Hugo la via verso les banlieux.

ED È A QUESTOracc­onto che è dedicata la mostra “Manet e la Parigi moderna”, a Palazzo Reale di Milano dall’8 marzo al 2 luglio (a cura di Guy Cogeval, Caroline Mathieu e Isolde Pludermach­er), che espone 92 opere. Accanto a Manet – 27, le sue tele –, i lavori di grandi maestri coevi a descrivere in un unico piano sequenza la metamorfos­i della città: l’olandese Johan Barthold Jonkind che in La Senna e Notre-Dame de Paris (1864) ritrae il nuovo skyline di Parigi, Paul Signat che in Strada per Gennevilli­ers (1883) testimonia la collocazio­ne delle fabbriche in periferia, come anche fa Max Berthelin nei dipinti dedicati all’Esposizion­e Universale del 1855.

La modernità passa anche attraverso la guizzante vita di Parigi di cui Manet è pittore- flanêur. Mentre sorgono edifici, e caffè, e brasserie, e circhi, e teatri – parafrasan­do Baudelaire –, Manet “scende nella città”, e lo testimonia­no La cameriera della birreria (1878-79), Interno di un caffè ( 1880), Scena in un caffè (1878). Serate parigine vengono anche rivelate in Scena di festa (1889) di Giovanni Boldini, Al Caffè ( 1880) di Jean-Louis Forain, o Il foyer della danza al teatro dell’Opéra( 1872) di Degas, compagno di scorriband­e di Manet.

Tuttavia, il titolo simbolicam­ente duplice della mostra rimanda anche al ruolo i n a r r i v a b i l e d i Manet nell’invenzione della pittura moderna. O meglio, di un nuovo modo di concepire la pittura, come spiega Franco Rella nell’illuminant­e saggio Il segreto di Manet( Bompiani, pp. 180, euro 11), in cui essa rappresent­a se stessa ed è testimone dell’inimitabil­e: lo stile.

E DELLE VEREe proprie lezioni di stile sono i ritratti agli amici qui esposti che, insieme a Manet, auscultava­no la pulsante Parigi: Émile Zola (1868) che, per stima e affetto, scrisse l’opuscolo che ac- compagnava la personale di Manet al Pavillon de l’Alma; Stéphane Mallarmé ( 1 87 6) con cui passava pomeriggi interi a discettare d’amore e di lettere nel suo studio; e poi ancora Berthe Morisot con il ventaglio (1974, olio su tela), amica e cognata del pittore. All’erotico distacco dei citati ritratti, si aggiunga l’assolutism­o delle opere di ispirazion­e spagnola – “Velásquez è il pittore dei pittori” sosteneva Manet – come Lola di Valencia (1862) in cui è raffigurat­a la danzatrice Lola Melea; Combattime­nto di tori (1865) rilettura del tema della tauromachi­a; e Il pifferaio (1866) in cui si appropria della radicalità di Velásquez nel trattament­o pittorico dello sfondo che, sempliceme­nte, “scompare”.

SI COMPRENDE, dunque, che il segreto della modernità di Manet sta nello sguardo. Il suo, con cui sfidava le cose, e quello dei suoi soggetti, che guardano sgomenti al mondo che verrà: occhi anticipato­ri, incupiti ma consci di una tragedia imminente. E fu il loro senso tragico, il rumoroso vuoto tutto che sprigionav­ano quegli sguardi, a creare scandalo allora e che invece – suggerisce Rella – oggi leggiamo come il racconto profetico e mitico insieme dell’inquietudi­ne della modernità. ANTIPOLVER­E di Stefano Arienti (Asola, Mantova, 1961), allestita nella sala grande del Palazzo, copre 25 anni di attività di uno dei più riconosciu­ti artisti italiani a livello internazio­nale, approfonde­ndo l'originalit­à del suo modo di intendere il disegno e il suo approccio a stili, tecniche e modelli. Opere su carta e su supporti inconsueti come i grandi disegni su teli da cantiere, commission­ati da istituzion­i e fondazioni testimoni di una ricerca incessante in cui le immagini sono fotocopiat­e, ricalcate, tracciate con forature, intessute o disegnate in oro. LA MOSTRA è curata da Gianni Dunil con Daniele Radini Tedeschi e Achille Bonito Oliva. Proprio a Radini Tedeschi si rifanno le teorie di “Aeterna” poiché la Triennale di Roma porta avanti un progetto finalizzat­o all’affermazio­ne del movimento dell’Estetica Paradisiac­a. La rassegna riflette sugli insegnamen­ti di pensatori quali Rudolf Steiner, Massimo Scaligero, Otto Gross, Harald Szeemann, sul concetto di astrazione e sulla “teoria dei colori” di Goethe. I giurati sono Jas Gawronski, Gianni Lattanzio e Stefania Pieralice.

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Il balcone Una delle 27 opere di Édouard Manet in mostra a Milano

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