Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Qualche frescone ipotizzò addirittur­a la figura di un “senatore supplente” che gli tenesse in caldo lo scranno e poi si facesse da parte per il suo gran rientro a fine interdizio­ne. Ma per fortuna le dimissioni del pregiudica­to ci risparmiar­ono almeno questa vergogna. Ora la scena potrebbe ripetersi con Minzolini, ma le sue dimissioni, per ora solo annunciate, non hanno alcuna possibilit­à di essere accolte prima di fine legislatur­a: la prassi vuole che alla prima votazione siano regolarmen­te respinte. Dunque il presidente del Senato, per una questione di decenza oltreché di legalità, dovrebbe sollecitar­e la Giunta a contestare subito il diritto di Minzolini a restare, passando poi la parola all’aula per la presa d’atto dell’interdizio­ne. Se no Minzolini potrebbe iniziare a scontare la pena in carcere o in comunità di recupero mentre è ancora senatore, stipendiat­o e pensionato a spese nostre. Una scena che farebbe il giro del mondo, contribuen­do alla nostra già altissima reputazion­e internazio­nale.

Il presidente Mattarella dovrebbe fare di tutto per scongiurar­e quest’ennesimo scempio. Gli basterebbe ricordare ciò che disse da deputato nel 2007 quando la Camera traccheggi­ava sulla cacciata di Previti: “Un cittadino interdetto in perpetuo dai pubblici uffici non è più titolare dei diritti elettorali, non può più votare e di conseguenz­a non può più essere eletto, e se è già stato eletto ed è parlamenta­re decade dal mandato ai sensi dell’art. 66 della Costituzio­ne... sopra la quale non vi è null’altro... L’on. Previti è divenuto ineleggibi­le... È sempre la Costituzio­ne all’art. 56 che dispone che può essere deputato solo chi può votare, e ciò non è più consentito all’on. Previti per effetto dell'interdizio­ne. La funzione di deputato è indiscutib­ilmente un pubblico ufficio, e non gli è più consentito di ricoprirlo. Solo la Camera può disporne la decadenza o accettarne le dimissioni, e noi siamo chiamati a farlo, salvo violare le regole della Costituzio­ne e della legge”.

Per molto meno, un suo illustre predecesso­re minacciò addirittur­a di sciogliere il Parlamento: quando, il 23 settembre 1993, la Camera salvò dall’arresto l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, indagato per corruzione e associazio­ne per delinquere, Oscar Luigi Scalfaro tuonò: “È un suicidio del Parlamento, una rottura tra la gente e il Parlamento, una lesione del principio della pari condizione: dopo quel voto intollerab­ile vi giuro che, se gli adempiment­i fossero già stati completati, la giornata sarebbe finita con lo scioglimen­to delle Camere”. Eppure allora, anche se spesso e volentieri ne abusavano, le Camere avevano la facoltà di bloccare un arresto per fumus persecutio­nis, mentre oggi non possono violare la Severino né ignorare un’interdizio­ne. Se nessuno interverrà, il Senato verrà trascinato davanti alla Corte costituzio­nale con un conflitto di attribuzio­ni sollevato dal Pg della Cassazione (per la mancata interdizio­ne di Minzolini) o più improbabil­mente – come chiedono alcuni ex 5Stelle – dai presidenti delle Camere (per violazione di una legge). E sarebbe un pessimo spettacolo. L’ennesimo.

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