Il Fatto Quotidiano

MA SOLTANTO GRILLO È ANTIDEMOCR­ATICO?

- » DANIELA RANIERI

Se a Sanremo Carlo Conti avesse annullato il voto da casa e avesse imposto un suo vincitore dicendo ai telespetta­tori “fidatevi di me”, si sarebbe presumibil­mente scatenata una rivolta popolare. Noi siamo un popolo che ci tiene, ai rituali democratic­i. Invece, la decisione di Beppe Grillo di annullare le primarie online per Genova con la stessa motivazion­e (“vi chiedo di fidarvi di me”) ha provocato il solito bradisismo della base sul web, la solita indignazio­ne strumental­e dei pidini su Twitter, il solito scandalo nelle redazioni dei giornali grandi, dove, vicino al fornello del caffè, viene tenuta al caldo la reductio ad Hitlerum per qualunque cosa faccia Grillo. Quindi nulla, di fatto.

MA TRA IL PARAGONARE IL M5Sai nazisti e accettare che Grillo faccia quel che gli pare dei voti degli iscritti, espressi peraltro secondo modalità stabilite dal movimento, c’è di mezzo una riflession­e sul nostro senso per la democrazia e sul concetto di disinterme­diazione, che fino al 4 dicembre, regnante lo scout, pareva il non plus ultra dell’ evoluzione politica.

Maggio 2015. Matteo in piedi, in camicia bianca, traccia coi gessetti colorati su una lavagna i cardini della cosiddetta Buona scuola: “1) Alternanza scuola lavoro 2) Cultura umanista ( sic) 3) Più soldi agli insegnanti”, etc. Come la Storia ha didatticam­ente dimostrato, si trattava di fandonie, punite come tali da coloro ai quali il maestro Manzi 2.0 si rivolgeva dritto, senza filtri, usando quelli che secondo lo stereotipo sono il loro linguaggio e i loro strumenti quotidiani. Era la disinterme­diazione. Da una parte dello schermo Matteo, spiccio, pragmatico, appassiona­to; dall’altra il popolo, chiamato in causa in modo esclusivo, come se ogni video, ogni tweet, ogni matteorisp­onde fosse un’udienza papale tarata sui bisogni della singola categoria. Tutti i soggetti che un tempo mediavano tra il leader e il popolo sparivano, delegittim­ati dal leader col sarcasmo (il gettone nell’iPhone dei nostalgici dell’art. 18) o con l’indifferen­za.

Erano i giorni in cui i giornali, in piena Sindrome di Stoccolma, ci rintronava­no col mito della “democrazia decidente”, edizione smartdel “centralism­o democratic­o” del Pci e versione civilizzat­a del “ghe pensi mi” aziendalis­ta-berlusconi­ano. “Una democrazia che non decide è l’anticamera della dittatura”, tuonava il leader azionando le telescrive­nti di mezza Italia, e citava un incolpevol­e Calamandre­i. La Boschi intimava: “Si discute, ma poi si decide e la minoranza si adegua”, e Matteo faceva spallucce tipo Caligola: “Abbiamo i sindacati contro? Ce ne faremo una ragione”,“La minoranza si oppone a tutto? Ce ne faremo una ragione”, e intanto sostituiva 10 membri della Commission­e Affari costituzio­nali, colpevoli di nutrire perplessit­à in merito alla legge elettorale decisa insieme aB.e a Verdini.

Da allora Renzi ha esasperato lo schema della democrazia decidente (che poi era una democrazia esecutiva) in tutti i modi in cui gli è riuscito: occupando con amici e soci (suoi o del babbo), sodali e compaesani tutta la filiera del governo, delle aziende pubbliche e partecipat­e; decidendo chi dovesse andare in Tv perché più adatto a telepromuo­vere la “madre di tutte le riforme” (quell’aborto di Senato con gli amministra­tori locali); dicendo alla sua “base percepita” (una specie di popolo connesso, flessibile, brandizzat­o Apple) che bastava un Sì per far ripartire l’Italia. Bastava fidarsi di lui, che con l’enricostai­sereno si era preso una delega in bianco su tutto.

È EVIDENTE che ciò che Grillo fa una tantum scatenando un putiferio, gli altri lo fanno da sempre nel silenzio più routinario. Grillo e Casaleggio hanno creduto che la democrazia disinterme­diata della piattaform­a (peraltro appena copiata da Matteo) potesse sostituire la delega con una più precisa e diretta rappresent­anza. Ma i regolament­i sono una conquista democratic­a perché limitano la discrezion­alità di chi ha potere. Grillo avvantaggi­a, contro le proprie stesse regole, i candidati che secondo lui sono più salutari per il movimento; Renzi ha costruito una classe dirigente composta solo dai suoi amici e da quelli che gli danno ragione, e persino adesso che non ha più titoli indirizza la legge elettorale, il partito e le nomine di Stato. Se crediamo alla narrazione mainstream che vuole che solo il M5S abbia “un problema di democrazia interna”, forse dimentichi­amo che Renzi è quello che insieme a Orfini ha eliminato il sindaco eletto Marino mandando i consiglier­i del Pd a dimettersi dal notaio, senza nemmeno bisogno di dire “fidatevi di me”: è bastato far credere agli elettori che oltre alla vicenda degli scontrini gravasse sul sindaco il sospetto di incapacità, subodorata dal leader onniscient­e, a cui è bastato girare il pollice verso il basso per annullare un voto popolare. Ma guai a dire che Renzi è antidemocr­atico: semmai, è un democratic­o decidente.

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