Nessuno ormai è immune è solo questione di tempo
Le sconfitte dell’Isis e i pericoli (anche per l’Italia) dei “return fighters”
Ciò che è accaduto a Londra è indicativo del particolare scenario britannico, dove la presenza dei radicalizzati islamici è consistente. Sono almeno 800 gli individui che sono andati a combattere nelle file dello Stato Islamico provenienti dal Regno Unito. Del resto però questa tradizione di estremisti islamici, evidente sin dalla serie di attentati degli anni ‘90 e poi dopo il 2000, con le sue figure di predicatori e fomentatori dell’ideologia jihadista, ha permesso anche lo sviluppo di anticorpi, come i diversi programmi - ne ricordo due su tutti: “Contest” e“Prevent”- per contrastare la radicalizzazione anche attraverso una contro-narrativa nelle comunità più sensibili al verbo islamico radicale.
Ed è chiaro che questo attentato, per quanto si possa considerare rudimentale, rientra in pieno nella strategia dello Stato Islamico. Mentre sul terreno, tra Siria e Iraq, l’Isis arretra, subendo sconfitte a Mosul e preparandosi alla battaglia di Raqqa, la risposta è proprio l’escalation di simili attacchi in Europa. Il messaggio dal Califfato è diretto a quelli che finora erano i foreign fighter: qui non c’è più l’Eldorado della Guerra Santa, voi che potete combattete dove siete con ogni mezzo. Per l’Isis sarà anche facile rivendicare un simile attacco, poiché l’affiliazione allo Stato Islamico opera ormai attraverso legami flebili e minimi. E ogni atto terroristico può venir considerato in nome del Califfo.
Benché sia ancora presto per dire che siamo in una nuova fase crescente della minaccia islamica, è certo che gesti del genere portano a un processo di emulazione, a una spinta psicologica per i simpatizzanti del jihad. L’anniversario della strage dell’aeroporto di Bruxelles mi pare un elemento meno significativo, perché si trattò di un attentato con una preparazione e una rete ben più complessa.
STA DI FATTO CHE ORMAI NESSUNO si può sentire immune, ed è probabilmente solo una questione di tempo perché un atto simile si verifichi in paesi finora non colpiti. Per quel che riguarda l’Italia possiamo confidare in una buona capacità dell’intelligence dovuta al nostro passato e agli attentati di matrice palestinese che si sono verificati negli anni ’70 e ’80. C’è poi anche l’esiguo numero delle nostre comunità musulmane. Se in Francia gli attenzionati dai servizi di sicurezza sono circa 16000 da noi sono poche migliaia.
D’altro canto attacchi simili, condotti con mezzi semplici e da singoli, sono quasi imparabili. È esattamente l’attuale debolezza dell’Isis ad aumentare la sua pericolosità, facendola sempre più somigliare ad AlQae da, un’ organizzazione clandestina e non statuale: a questo punto l’Isis potrebbe anche trovare una nuova sigla e un nuovo modo di esistere e operare. Un processo di trasformazione tattica, dipa lesti nizza zio ne come ci insegna il passato.
Perciò va considerata con attenzione l’“onda di ritorno” che da un anno a questa parte sta portando indietro i foreign fighter. Il loro numero non è facile da stabilire ma una ricerca del think tank americano Rand Corporation quantifica in circa il 10% i combattenti che tornati in patria sono pronti a colpire.
Contro il fenomeno dei “return fighter” è di certo importante la collaborazione delle intelligence europee. Ho l’impressione che, nonostante le ritrosie dei vari servizi continentali, qualche passo avanti negli ultimi tempi sia stato fatto, e ne è prova anche il tipo di attentati: non sono così articolati e complessi come in passato. Da questo punto di vista l’attuale posizione americana con toni retorici e nazional-populisti, tende a favorire una “doppia radicalizzazione”, aumentando la distanza e la diffidenza nei confronti delle comunità islamiche: una divisione sempre più netta tra “noi” e “loro ”, che è proprio l’ obiettivo della propaganda della marginalizzazione sulla quale punt al’ Isis.