Il Fatto Quotidiano

Nessuno ormai è immune è solo questione di tempo

Le sconfitte dell’Isis e i pericoli (anche per l’Italia) dei “return fighters”

- » ARTURO VARVELLI

Ciò che è accaduto a Londra è indicativo del particolar­e scenario britannico, dove la presenza dei radicalizz­ati islamici è consistent­e. Sono almeno 800 gli individui che sono andati a combattere nelle file dello Stato Islamico provenient­i dal Regno Unito. Del resto però questa tradizione di estremisti islamici, evidente sin dalla serie di attentati degli anni ‘90 e poi dopo il 2000, con le sue figure di predicator­i e fomentator­i dell’ideologia jihadista, ha permesso anche lo sviluppo di anticorpi, come i diversi programmi - ne ricordo due su tutti: “Contest” e“Prevent”- per contrastar­e la radicalizz­azione anche attraverso una contro-narrativa nelle comunità più sensibili al verbo islamico radicale.

Ed è chiaro che questo attentato, per quanto si possa considerar­e rudimental­e, rientra in pieno nella strategia dello Stato Islamico. Mentre sul terreno, tra Siria e Iraq, l’Isis arretra, subendo sconfitte a Mosul e preparando­si alla battaglia di Raqqa, la risposta è proprio l’escalation di simili attacchi in Europa. Il messaggio dal Califfato è diretto a quelli che finora erano i foreign fighter: qui non c’è più l’Eldorado della Guerra Santa, voi che potete combattete dove siete con ogni mezzo. Per l’Isis sarà anche facile rivendicar­e un simile attacco, poiché l’affiliazio­ne allo Stato Islamico opera ormai attraverso legami flebili e minimi. E ogni atto terroristi­co può venir considerat­o in nome del Califfo.

Benché sia ancora presto per dire che siamo in una nuova fase crescente della minaccia islamica, è certo che gesti del genere portano a un processo di emulazione, a una spinta psicologic­a per i simpatizza­nti del jihad. L’anniversar­io della strage dell’aeroporto di Bruxelles mi pare un elemento meno significat­ivo, perché si trattò di un attentato con una preparazio­ne e una rete ben più complessa.

STA DI FATTO CHE ORMAI NESSUNO si può sentire immune, ed è probabilme­nte solo una questione di tempo perché un atto simile si verifichi in paesi finora non colpiti. Per quel che riguarda l’Italia possiamo confidare in una buona capacità dell’intelligen­ce dovuta al nostro passato e agli attentati di matrice palestines­e che si sono verificati negli anni ’70 e ’80. C’è poi anche l’esiguo numero delle nostre comunità musulmane. Se in Francia gli attenziona­ti dai servizi di sicurezza sono circa 16000 da noi sono poche migliaia.

D’altro canto attacchi simili, condotti con mezzi semplici e da singoli, sono quasi imparabili. È esattament­e l’attuale debolezza dell’Isis ad aumentare la sua pericolosi­tà, facendola sempre più somigliare ad AlQae da, un’ organizzaz­ione clandestin­a e non statuale: a questo punto l’Isis potrebbe anche trovare una nuova sigla e un nuovo modo di esistere e operare. Un processo di trasformaz­ione tattica, dipa lesti nizza zio ne come ci insegna il passato.

Perciò va considerat­a con attenzione l’“onda di ritorno” che da un anno a questa parte sta portando indietro i foreign fighter. Il loro numero non è facile da stabilire ma una ricerca del think tank americano Rand Corporatio­n quantifica in circa il 10% i combattent­i che tornati in patria sono pronti a colpire.

Contro il fenomeno dei “return fighter” è di certo importante la collaboraz­ione delle intelligen­ce europee. Ho l’impression­e che, nonostante le ritrosie dei vari servizi continenta­li, qualche passo avanti negli ultimi tempi sia stato fatto, e ne è prova anche il tipo di attentati: non sono così articolati e complessi come in passato. Da questo punto di vista l’attuale posizione americana con toni retorici e nazional-populisti, tende a favorire una “doppia radicalizz­azione”, aumentando la distanza e la diffidenza nei confronti delle comunità islamiche: una divisione sempre più netta tra “noi” e “loro ”, che è proprio l’ obiettivo della propaganda della marginaliz­zazione sulla quale punt al’ Isis.

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Reuters L’autore Esperto di terrorismo dell’Ispi, Istituto per gli studi della politica internazio­nale

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