ROMEO PRESCRITTO: PERCHÉ VINCEVA GARE?
Il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone in un’intervista a Repubblica ha detto, a proposito dell’inchiesta Consip: “Resto ottimista e mi attengo ai fatti, c’è una indagine molto seria tra Napoli e Roma che ha fatto emergere allo stato un unico, seppur grave, episodio di corruzione che potrebbe lasciar intravedere altro. Per parlare di sistema c’è bisogno di attendere gli sviluppi giudiziari”.
In quelle stesse ore, i magistrati di Roma hanno depositato al Tribunale del riesame documentazione per dimostrare il coinvolgimento di Romeo, a partire dal 1993, in vari processi di corruttela dai quali – dopo dure condanne inflittegli dai giudici di merito – è uscito o per prescrizione (nel 2000) o per non aver commesso il fatto (sentenza del 2014, in cui la Cassazione riteneva potesse ravvisarsi il reato di traffico di influenze non applicabile per l’irretroattività della legge penale).
Ma di particolare interesse è la decisione del 2000 (riguardante sia il Romeo che Giulio Di Donato, vicesegretario nazionale del Psi, in relazione all’appalto per il censimento e la privatizzazione della gestione del patrimonio immobiliare di Napoli). La Corte – dopo aver posto in rilievo che “si era accertato che il Romeo aveva erogato o promesso a diversi esponenti politici o a persone ad esse collegate somme di denaro dell’ordine com- plessivo di alcuni miliardi di lire quale compenso per l’assegnazione dell’appalto”– ha ritenuto sussistere il meno grave reato di corruzione impropria (anziché quello di corruzione propria) e lo ha dichiarato prescritto. Ma – e questo è quanto mai rilevante – ha confermato le conseguenze civili “risultando pacifica sulla base dei fatti accertati in sede di merito la corresponsione da parte del Romeo di somme di denaro agli altri imputati a causa dell’assegnazione dell’appalto”. Ora questa decisione che accerta un grave episodio corruttivo avrebbe dovuto creare qualche problema a Romeo, in sede di partecipazione a gare di appalto.
Sempre in quelle ore, i magistrati di Napoli hanno fatto arrestare per appalti truccati ben 67 persone tra le quali – oltre a imprenditori sospettati di legami col clan dei casalesi – politici, docenti universitari, professionisti. Basta leggere le dichiarazioni ai magistrati – pubblicate da L’ Espresso–del “pentito” generalc on trac tor Giampiero De Michelis che ha svelato l’esistenza, da anni, di una cupola – costituita da politici, alti burocrati, grandi appaltatori, professionisti (questi ultimi nella funzione di controllori pubblici) – che regola la spartizione su tutto il territorio nazionale degli appalti delle opere pubbliche (De Michelis ha confermato ai magistrati di possedere addirittura la copia di un patto segreto per dividersi i progetti in tutta Italia). Ha indicato tra le grandi opere inquinate dal malaffare, oltre al Tav Milano-Genova, i tunnel del Brennero e altri lavori di superstrade in Sicilia, i macro-lotti della Salerno-Reggio Calabria. Qui, come in Campania la camorra, entra in gioco la ’ ndrangheta. Basta leggere le sentenze della Cassazione che si sono interessate dell’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al controllo e alla gestione degli appalti pubblici per i lavori di rifacimento dell’A3 Salerno- Reggio in territorio calabrese. Si legge nelle decisioni della Corte che la spartizione dei lotti per ottenere i subappalti e la percentuale del 3% era stata già compiutamente decisa e concordata durante i diversi incontri tenutisi in “contrada Bosco di Rosarno ” tra le famiglie della zona (Mancuso, Pesce, Piromalli, Alvaro, Tripodi, Laurenti e Bertuca, quest’ultima per conto del clan criminale dei De Stefano).
Orbene, se alla corruzione sistematica negli appalti delle opere pubbliche si aggiunge quella, altrettanto diffusa, nel settore della sanità, ove gli scandali ad altissimo livello si susseguono, e si aggiunge un’enorme evasione fiscale che coinvolge grandi imprese, non si può non concludere che il sistema politico ed economico si alimenta di corruzione ed evasione fiscale. Capisaldi del sistema sono: a) l’intreccio perverso tra la politica e la nomina dei vertici (lautamente retribuiti) delle aziende pubbliche e partecipate; b) la regola che chi denuncia non lavora più; c) la delegittimazione della magistratura accusata – appena le inchieste toccano la politica – di finalità politiche; d) il non dotare la magistratura di risorse necessarie per far funzionare la Giustizia; e) impedire che la prescrizione si blocchi con l’azione penale.
La parte sana degli italiani – che già al referendum costituzionale ha dimostrato nei confronti del (finto) “rottamatore” una grande volontà di riscatto – ha, alle prossime elezioni, l’occasione unica e irripetibile di spazzare via democraticamente questo sistema marcio dalle fondamenta e portare, finalmente in tempi rapidi, innanzi ai Tribunali della Repubblica i corrotti, gli evasori fiscali e gli altri che hanno dilapidato le risorse del nostro Paese.