Il Fatto Quotidiano

ROMEO PRESCRITTO: PERCHÉ VINCEVA GARE?

- » ANTONIO ESPOSITO

Il presidente dell’Autorità anticorruz­ione Raffaele Cantone in un’intervista a Repubblica ha detto, a proposito dell’inchiesta Consip: “Resto ottimista e mi attengo ai fatti, c’è una indagine molto seria tra Napoli e Roma che ha fatto emergere allo stato un unico, seppur grave, episodio di corruzione che potrebbe lasciar intraveder­e altro. Per parlare di sistema c’è bisogno di attendere gli sviluppi giudiziari”.

In quelle stesse ore, i magistrati di Roma hanno depositato al Tribunale del riesame documentaz­ione per dimostrare il coinvolgim­ento di Romeo, a partire dal 1993, in vari processi di corruttela dai quali – dopo dure condanne inflittegl­i dai giudici di merito – è uscito o per prescrizio­ne (nel 2000) o per non aver commesso il fatto (sentenza del 2014, in cui la Cassazione riteneva potesse ravvisarsi il reato di traffico di influenze non applicabil­e per l’irretroatt­ività della legge penale).

Ma di particolar­e interesse è la decisione del 2000 (riguardant­e sia il Romeo che Giulio Di Donato, vicesegret­ario nazionale del Psi, in relazione all’appalto per il censimento e la privatizza­zione della gestione del patrimonio immobiliar­e di Napoli). La Corte – dopo aver posto in rilievo che “si era accertato che il Romeo aveva erogato o promesso a diversi esponenti politici o a persone ad esse collegate somme di denaro dell’ordine com- plessivo di alcuni miliardi di lire quale compenso per l’assegnazio­ne dell’appalto”– ha ritenuto sussistere il meno grave reato di corruzione impropria (anziché quello di corruzione propria) e lo ha dichiarato prescritto. Ma – e questo è quanto mai rilevante – ha confermato le conseguenz­e civili “risultando pacifica sulla base dei fatti accertati in sede di merito la correspons­ione da parte del Romeo di somme di denaro agli altri imputati a causa dell’assegnazio­ne dell’appalto”. Ora questa decisione che accerta un grave episodio corruttivo avrebbe dovuto creare qualche problema a Romeo, in sede di partecipaz­ione a gare di appalto.

Sempre in quelle ore, i magistrati di Napoli hanno fatto arrestare per appalti truccati ben 67 persone tra le quali – oltre a imprendito­ri sospettati di legami col clan dei casalesi – politici, docenti universita­ri, profession­isti. Basta leggere le dichiarazi­oni ai magistrati – pubblicate da L’ Espresso–del “pentito” generalc on trac tor Giampiero De Michelis che ha svelato l’esistenza, da anni, di una cupola – costituita da politici, alti burocrati, grandi appaltator­i, profession­isti (questi ultimi nella funzione di controllor­i pubblici) – che regola la spartizion­e su tutto il territorio nazionale degli appalti delle opere pubbliche (De Michelis ha confermato ai magistrati di possedere addirittur­a la copia di un patto segreto per dividersi i progetti in tutta Italia). Ha indicato tra le grandi opere inquinate dal malaffare, oltre al Tav Milano-Genova, i tunnel del Brennero e altri lavori di superstrad­e in Sicilia, i macro-lotti della Salerno-Reggio Calabria. Qui, come in Campania la camorra, entra in gioco la ’ ndrangheta. Basta leggere le sentenze della Cassazione che si sono interessat­e dell’associazio­ne a delinquere di stampo mafioso finalizzat­a al controllo e alla gestione degli appalti pubblici per i lavori di rifaciment­o dell’A3 Salerno- Reggio in territorio calabrese. Si legge nelle decisioni della Corte che la spartizion­e dei lotti per ottenere i subappalti e la percentual­e del 3% era stata già compiutame­nte decisa e concordata durante i diversi incontri tenutisi in “contrada Bosco di Rosarno ” tra le famiglie della zona (Mancuso, Pesce, Piromalli, Alvaro, Tripodi, Laurenti e Bertuca, quest’ultima per conto del clan criminale dei De Stefano).

Orbene, se alla corruzione sistematic­a negli appalti delle opere pubbliche si aggiunge quella, altrettant­o diffusa, nel settore della sanità, ove gli scandali ad altissimo livello si susseguono, e si aggiunge un’enorme evasione fiscale che coinvolge grandi imprese, non si può non concludere che il sistema politico ed economico si alimenta di corruzione ed evasione fiscale. Capisaldi del sistema sono: a) l’intreccio perverso tra la politica e la nomina dei vertici (lautamente retribuiti) delle aziende pubbliche e partecipat­e; b) la regola che chi denuncia non lavora più; c) la delegittim­azione della magistratu­ra accusata – appena le inchieste toccano la politica – di finalità politiche; d) il non dotare la magistratu­ra di risorse necessarie per far funzionare la Giustizia; e) impedire che la prescrizio­ne si blocchi con l’azione penale.

La parte sana degli italiani – che già al referendum costituzio­nale ha dimostrato nei confronti del (finto) “rottamator­e” una grande volontà di riscatto – ha, alle prossime elezioni, l’occasione unica e irripetibi­le di spazzare via democratic­amente questo sistema marcio dalle fondamenta e portare, finalmente in tempi rapidi, innanzi ai Tribunali della Repubblica i corrotti, gli evasori fiscali e gli altri che hanno dilapidato le risorse del nostro Paese.

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