La morte di Reichlin, tra le “macerie” della sinistra italiana
1925-2017 Partigiano, togliattiano e ingraiano nel Pci è stato il comunista della parola. Il 4 dicembre votò “No”
Il comunista delle parole, nel senso della complessità e della profondità del pensiero. Alfredo Reichlin è morto l’altra notte a 91 anni e appena una settimana fa, sul sito NuovAtlantide, aveva pubblicato un articolo che letto adesso, come ha detto ieri Massimo D’Alema, suona come il suo testamento. Pessimismo ma ancora tanta passione e voglia di capire. Sin dal titolo: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”. È l’intera traiettoria del Partito democratico, circa un decennio, che ha provocato il disastro di oggi, sino alla dolorosa scissione della Ditta di Bersani e D’Alema. “È l’Italia nel mondo con tutta la sua civiltà che va ripensata. Noi non facemmo questo al Lingotto. Con un magnifico discorso ci allineammo al liberismo allora imperante senza prevedere la grande crisi catastrofica mondiale cominciata solo qualche mese dopo”.
PARTIGIANO, togliattiano, ingraiano, poi con Berlinguer, direttore dell’Unità e di Rinascita, finanche giovane dirigente del Pci nella sua Puglia, quella della celebre école barisienne, Reichlin è un altro patriarca della sinistra che se ne va. Nell’ottobre di due anni fa, fu lui a dare il senso politico ai funerali del “suo” Pietro Ingrao, durante il rito laico allestito in piazza Montecitorio: “Amici questa storia non l’abbiamo custodita bene. La politica non può ridursi a mercato e lotte di potere. La dimensione etica e culturale della politica è la lezione che ci lascia Ingrao”. Adesso tocca a lui lasciare lezioni.
All’undicesimo congresso del Pci, quello del 1966, e che sancì la nascita della “destra” e della “sinistra” interne pur nella sintesi del centralismo democratico, Reichlin era insieme a Lucio Magri, Rossana Rossanda, Luigi Pintor ad applaudire e ad alzare il pugno chiuso alla fine del memorabile e infuocato discorso che tenne Ingrao. Ed era stato in quel gruppo che Reichlin aveva pure trovato l’amore e la bellezza di Luciana Castellina. Furono sposati per cinque anni dal 1953 al 1958 ed ebbero due figli, Pietro e Lucrezia.
La bellezza è un concetto che ricorre, per Reichlin, anche per la politica. Incredibile a dirsi, in questi anni cupi. Il suo ultimo li- bro, a novant’anni, ha come titolo: La mia Italia, la Repubblica, la sinistra, la bellezza della politica.
SEMPRE dal suo articolo-testamento: “Sono afflitto da mese da una malattia che mi rende faticoso perfino scrivere queste righe. Mi sento di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e l’intero campo democratico. (...). Non ci sono più rendite di posizione da sfruttare in una politica così screditata la quale si rivela impotente quando deve affrontare non i giochi di potere ma la cruda realtà delle in-
giustizie sociali, quando deve garantire diritti, quando deve vigilare sul mercato affinché non prevalga la legge del più forte”.
Come ha ricordato ieri Beppe Vacca in un’intervista all’Huffington Post, Reichlin è stato un togliattiano nel significato più alto del termine: “la politica come storia in atto” e “la politica organizzata”. Quest’ultimo punto è stato rimarcato sempre da D’Alema con le stesse parole di Reichlin: “La costruzione di una soggettività politica in grado di accogliere, di organizzare la partecipazione popolare e insieme di dialogare, di comporre alleanze, di lottare per obiettivi concreti e ideali, rafforzando il patto costituzionale”.
Non era uomo di scontri, Reichlin. Politico e intellettuale allo stesso tempo, la parabola di questo decennio ha messo in evidenza le sue enormi distanze con i due protagonisti decisivi per le “macerie” della sinistra: Giorgio Napolitano, altro togliattiano, ma in un senso più tattico e realista, e Matteo Renzi. Il renzismo è quello della fatale mutazione genetica: “Quando parlai del Pd come di un Partito della nazione intendevo proprio questo (il patto costituzionale, ndr), ma le mie parole sono state piegate nel loro contrario: il Partito della nazione è diventato un ombrello per l’occupazione del potere, un ombrello per trasformismi di ogni genere. Derubato del significato di ciò che dicevo, ho preferito tacere”.
A lui, che era stato anche direttore di quel giornale, due anni fa l’Unità manipolò un aggettivo. In un dibattito pubblico, Reichlin aveva definito ignorante Renzi “perché non può asfaltare quel grande deposito di valori che le generazioni della sinistra e del laicismo cattolico hanno creato. Perché se lo fa, sa che la gente non va più a votare. È stupido”. L’Unità mise in pagina il suo intervento trasformando “ignorante” in “ig nor and o” e cancellando “stupido”.
Il 4 dicembre scorso, al referendum istituzionale, Reichlin aveva votato No.
ALFREDO REICHLIN SU “NUOVATLANTIDE”
Al Lingotto ci allineammo al liberismo imperante senza prevedere la grande crisi mondiale cominciata solo qualche mese dopo 14 marzo 2017