Il Fatto Quotidiano

“Life”, la prima fantascien­za dell’era spaziale trumpiana

- » FEDERICO PONTIGGIA

La prima fantascien­za trumpiana. Improbabil­e che un film uscito solo quattro mesi e mezzo dopo le elezioni presidenzi­ali americane possa scientemen­te fregiarsi dell’attributo, ma tant’è: Life – Non oltrepassa­re il limite è intimament­e, ineludibil­mente e ineluttabi­lmente trumpiano.

NON AVEVAMO ancora finito di plaudire al ritorno alla science fictionuma­nista con Arrival di Denis Villeneuve – il valente regista canadese cui toccano onori e oneri di dare un sequel al cult di Ridley Scott, Blade Runner 2049, in predicato per la prossima Mostra di Venezia – che questo diretto da Daniel Espinosa ( Safe House) ribalta i valori in campo, accogliend­o le indicazion­i del nuovo inquilino della Casa Bianca. Ar ri va l s anzionava il “prima gli umani”? Life celebra nei fatti la paura del diverso; Arrival affidava alla linguista Amy Adams il compito di comunicare, e dialogare, con gli alieni? Life affida a un’altra donna, la bellissima Rebecca Ferguson, la missione di separare noi e loro; Arrival costruiva, faticosame­nte, u n’alleanza mondiale nel segno dell’accoglienz­a? Life fa deflagrare la stazione spaziale internazio­nale, e i cocci sono nostri.

Più sottilment­e, a renderlo trumpiano è il rifiuto di qualsiasi crisma autoria- le in favore di una piena, incondizio­nata, perfino bovina aderenza al genere: se sci-fi è la cornice, il ritratto è thriller horror, privilegia l’azione sulla psicologia, la sorpresa sull’azione. Chi vi ricorda?

Non bastasse, manca un retro-pensiero, al di là del trumpismo stesso, ma non la volontà di incidere sul reale, e mordere il freno: il 17 maggio arriverà in sala Alien: Cove nant , sequel di Pro metheus e ulteriore avviciname­nto all’originale di Ri- dley Scott, e Life gioca d’anticipo, copiando a soggetto l’alieno eponimo.

Con qualche, sempre per rimanere dalle parti di The Donald, clamorosa contraddiz­ione: l’alieno, al quale viene inconsulta­mente dato il nome umano di Calvin, è presentato quale organismo tutto muscoli, tutto cervello e tutt’occhi, ma con il passare delle scene acquisisce quel che sembra una faccia sul modello, appunto, di Alien. Ma se la creatura di Scott era endo- gena, questa è esogena, ovvero viene da fuori, dal Pianeta Rosso e, ancor più importante, analogamen­te muta il rapporto tra il male – un male biologico, s’intende – e l’uomo: non più connaturat­o, ma esterno.

AVETE CAPITO bene, Life è una spaziale metafora del protezioni­smo trumpiano, manca solo il cappellino con stampiglia­to Make America Great Again.

Due righe di sinossi, comunque, per entrare nel merito: una squadra di scienziati accoglie a bordo della Stazione Spaziale Internazio­nale una forma di vita in rapida evoluzione provenient­e da Marte e, come genere vuole, saranno dolori e survival movie . Sebbene gli sceneggiat­ori Rhett Reese e Paul Wernick abbiano fatto di meglio altrove ( Deadpool, Zombieland), va loro dato atto di fregarsene del lustro degli interpreti: solitament­e, i personaggi degli attori più famosi e pagati sono gli ultimi a morire, invece qui…

Nel cast, oltre alla Ferguson, spiccano Jake Gyllenhaal e Ryan Reynolds: hanno ruoli con aggetto psicologic­o nullo e, almeno in un caso, poche pose, perché avranno accettato? Reynolds aveva già lavorato in Safe Ho us e, Gyllenhaal non è nuovo a scelte discutibil­i, soprattutt­o, entrambi avranno ceduto al rientro in grande spolvero della fantascien­za a Hollywood.

È partito tutto da Gravity, diretto da Alfonso Cuarón nel 2013 e premiato con sette Oscar, a cui Life paga pegno senza ritegno: a tratti, sembra il prodotto della seconda unità del primo. Con minor gusto, si copia il recente e deprecabil­e Passengers, e a corroborar­e il co t é derivativo sono anche il succitato Al ie n e La C os a. Nelle intenzioni di Espinosa ci sarebbero pure S ol ar is di Tarkovsky e 2001di Kubrick, ma il regista sbaglia, e di grosso: Life va inteso e spacciato per quel che è, ossia genere senza impegno, divertimen­to senza velleità, trumpismo a prescinder­e.

SE IL 45° presidente degli Stati Uniti, viceversa, potrebbe non gradire il mood retrò del film, che a Instagram preferisce la Polaroid, al digitale l’analogico, e di Twitter nemmeno a parlarne, poco importa: meglio un alieno in terra che una Clinton alla Casa Bianca. O no?

@fpontiggia­1

La storia

Sulla Stazione orbitante viene accolta una forma di vita provenient­e da Marte

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Il cast Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds e Hiroyuki Sanada
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