“Life”, la prima fantascienza dell’era spaziale trumpiana
La prima fantascienza trumpiana. Improbabile che un film uscito solo quattro mesi e mezzo dopo le elezioni presidenziali americane possa scientemente fregiarsi dell’attributo, ma tant’è: Life – Non oltrepassare il limite è intimamente, ineludibilmente e ineluttabilmente trumpiano.
NON AVEVAMO ancora finito di plaudire al ritorno alla science fictionumanista con Arrival di Denis Villeneuve – il valente regista canadese cui toccano onori e oneri di dare un sequel al cult di Ridley Scott, Blade Runner 2049, in predicato per la prossima Mostra di Venezia – che questo diretto da Daniel Espinosa ( Safe House) ribalta i valori in campo, accogliendo le indicazioni del nuovo inquilino della Casa Bianca. Ar ri va l s anzionava il “prima gli umani”? Life celebra nei fatti la paura del diverso; Arrival affidava alla linguista Amy Adams il compito di comunicare, e dialogare, con gli alieni? Life affida a un’altra donna, la bellissima Rebecca Ferguson, la missione di separare noi e loro; Arrival costruiva, faticosamente, u n’alleanza mondiale nel segno dell’accoglienza? Life fa deflagrare la stazione spaziale internazionale, e i cocci sono nostri.
Più sottilmente, a renderlo trumpiano è il rifiuto di qualsiasi crisma autoria- le in favore di una piena, incondizionata, perfino bovina aderenza al genere: se sci-fi è la cornice, il ritratto è thriller horror, privilegia l’azione sulla psicologia, la sorpresa sull’azione. Chi vi ricorda?
Non bastasse, manca un retro-pensiero, al di là del trumpismo stesso, ma non la volontà di incidere sul reale, e mordere il freno: il 17 maggio arriverà in sala Alien: Cove nant , sequel di Pro metheus e ulteriore avvicinamento all’originale di Ri- dley Scott, e Life gioca d’anticipo, copiando a soggetto l’alieno eponimo.
Con qualche, sempre per rimanere dalle parti di The Donald, clamorosa contraddizione: l’alieno, al quale viene inconsultamente dato il nome umano di Calvin, è presentato quale organismo tutto muscoli, tutto cervello e tutt’occhi, ma con il passare delle scene acquisisce quel che sembra una faccia sul modello, appunto, di Alien. Ma se la creatura di Scott era endo- gena, questa è esogena, ovvero viene da fuori, dal Pianeta Rosso e, ancor più importante, analogamente muta il rapporto tra il male – un male biologico, s’intende – e l’uomo: non più connaturato, ma esterno.
AVETE CAPITO bene, Life è una spaziale metafora del protezionismo trumpiano, manca solo il cappellino con stampigliato Make America Great Again.
Due righe di sinossi, comunque, per entrare nel merito: una squadra di scienziati accoglie a bordo della Stazione Spaziale Internazionale una forma di vita in rapida evoluzione proveniente da Marte e, come genere vuole, saranno dolori e survival movie . Sebbene gli sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick abbiano fatto di meglio altrove ( Deadpool, Zombieland), va loro dato atto di fregarsene del lustro degli interpreti: solitamente, i personaggi degli attori più famosi e pagati sono gli ultimi a morire, invece qui…
Nel cast, oltre alla Ferguson, spiccano Jake Gyllenhaal e Ryan Reynolds: hanno ruoli con aggetto psicologico nullo e, almeno in un caso, poche pose, perché avranno accettato? Reynolds aveva già lavorato in Safe Ho us e, Gyllenhaal non è nuovo a scelte discutibili, soprattutto, entrambi avranno ceduto al rientro in grande spolvero della fantascienza a Hollywood.
È partito tutto da Gravity, diretto da Alfonso Cuarón nel 2013 e premiato con sette Oscar, a cui Life paga pegno senza ritegno: a tratti, sembra il prodotto della seconda unità del primo. Con minor gusto, si copia il recente e deprecabile Passengers, e a corroborare il co t é derivativo sono anche il succitato Al ie n e La C os a. Nelle intenzioni di Espinosa ci sarebbero pure S ol ar is di Tarkovsky e 2001di Kubrick, ma il regista sbaglia, e di grosso: Life va inteso e spacciato per quel che è, ossia genere senza impegno, divertimento senza velleità, trumpismo a prescindere.
SE IL 45° presidente degli Stati Uniti, viceversa, potrebbe non gradire il mood retrò del film, che a Instagram preferisce la Polaroid, al digitale l’analogico, e di Twitter nemmeno a parlarne, poco importa: meglio un alieno in terra che una Clinton alla Casa Bianca. O no?
@fpontiggia1
La storia
Sulla Stazione orbitante viene accolta una forma di vita proveniente da Marte